Emanuele, morto a 34 anni, lavorava in un call center. Perché non chiuderlo prima?

Emanuele Renzi aveva 34 anni, è morto dopo aver contratto il coronavirus. A colpire di questo caso non è solo la giovane età, l’autopsia ha dimostrato che era in salute e che il decesso è dovuto al Covid-19, ma anche il fatto che fino al giorno prima dell’auto-isolamento, Emanuele è andato a lavorare in un grande call center romano: duemila lavoratori, che nei giorni successivi hanno continuato a telefonare dalle loro postazioni, fianco a fianco, ignari del rischio che correvano, senza che l’azienda prendesse le misure di sicurezza necessarie.

L’indagine dell’Unità di crisi e le tempistiche

L’Unità di Crisi Covid-19 della Regione Lazio ha ricostruito così la vicenda: “In merito al decesso del ragazzo di 34 anni al Policlinico di Tor Vergata da prime notizie acquisite dall’indagine epidemiologica svolta dal servizio di prevenzione della Asl Roma 2 emerge che il ragazzo, che lavorava in un call center, era stato a Barcellona dal 6 all’8 marzo e il 9 marzo è stato il suo ultimo giorno di lavoro e poi si era posto in auto isolamento, ha mostrato i primi sintomi di febbre il giorno 11 e il 16 è stato trasferito, su indicazione del suo medico, in ambulanza e ricoverato al Policlinico di Tor Vergata dove entrava in terapia intensiva”. Emanuele muore il 22 marzo.

Il call center lavora per Tim, Eni e Poste

Il call center si chiama Youtility Center, e tra i committenti ha Eni, Poste, Sky, il Comune di Roma e Tim con il servizio 187 con cui lavorava Emanuele. Ha commentato la notizia con uno stringato post sui social: “E’ con estremo dolore e cordoglio che l’Azienda comunica di aver appreso dai familiari che il nostro amico e collega Emanuele Renzi è venuto a mancare. Tutti gli amici e i colleghi, si stringono intorno alla Sua famiglia, con un caro e sincero abbraccio nel ricordo del nostro caro Emanuele”. Nessun riferimento alla positività al Covid-19. La voce però è circolata dopo che Emanuele, ha accusato i primi sintomi di febbre, tra i colleghi.

La denuncia dei Cobas

Tanto che in seguito alla morte, il sindacato Cobas, ha depositato una dura denuncia nei confronti del Gruppo Distribuzione operante in Via Faustiniana, 28, a cui appartiene il call center: ” Premesso che dall’inizio dell’emergenza coronavirus l’Azienda si è mossa con enorme ritardo circa l’adozione dei protocolli di sicurezza e lo ha fatto solo dopo l’intervento delle Forze dell’Ordine avvenuto in più riprese, come denunciato anche dalla scrivente O.S. nel comunicato emanato in data 10 Marzo; che il lavoratore deceduto era rientrato da poco da un viaggio in Spagna e ha continuato a lavorare fino all’acuirsi dei sintomi, come attestano numerose testimonianze di colleghi e colleghe venute a contatto con la sua persona; che l’Azienda non ha provveduto ad avvisare tutti i dipendenti, non predisponendo quindi la messa in quarantena così come previsto dai protocolli di sicurezza emanati dalle autorità competenti dall’inizio dell’emergenza” scrive il sindacato, che chiede “di appurare se l’Azienda e le sue consociate abbiano mai denunciato agli organismi competenti, tempestivamente, la presenza di casi di contagio accertati; se abbia messo in atto tutti i meccanismi di prevenzione, compresa l’identificazione di tutto il personale venuto a contatto con il collega deceduto e con gli eventuali altri infetti“.

Solo un giorno di chiusura per sanificazione

Solo il 22 marzo, l’azienda, dopo il decesso di Emanuele e la rabbia dei lavoratori che monta, comunica ai dipendenti: “Si è appena concluso il sopralluogo da parte dei vigili di Roma Capitale presso la nostra sede di Via Faustiniana 28, gli stessi hanno proceduto all’ispezione di tutti gli ambienti non riscontrando anomalie rispetto all’attuazione del vigente Protocollo per il contenimento dell Covid-19. Nella giornata di domani riceveremo il sopralluogo della ASL di competenza, pur mantenendo il pieno diritto alla prosecuzione dell’esercizio delle nostre attività la Società ha deciso di sospendere l’attività per la giornata di domani 23 Marzo 2020 al fine di poter effettuare un’ ulteriore sanificazione straordinaria per poi riprendere le proprie attività il giorno 24 Marzo 2020″. Un solo giorno di chiusura per sanificare e si riparte come nulla fosse, nonostante siano passate meno di due settimane da quando gli ultimi colleghi entrati in contatto con Renzi potrebbero aver contratto il virus e averlo passato, anche a distanza di giorni, ad altri colleghi.

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L’ex lavoratore: “postazioni vicinissime, a meno di un metro”

Una condotta che preoccupa, in un momento in cui le restrizioni in Italia si sono fatte ancora più dure nel tentativo di fermare prima possibile la diffusione del contagio, e quindi il numero di morti che cresce giorno dopo giorno. Anche perché, come una persona che ha lavorato in quello stesso call center, racconta al Salvagente: “Le postazioni di lavoro sono vicinissime, a meno di un metro. Ci sono sedie rotte, tavoli attaccati uno all’altro, dove a meno di un metro di distanza hai altre file, sia di fronte che di spalle”.

La decisione del governo sui call center preoccupa e lascia perplessi

Il caso di Emanuele Renzi solleva una domanda che pensiamo ineludibile in questa fase: davvero tutti i call center sono da ritenere servizi essenziali e non possono essere chiusi? Essendo le distanze medie tra un lavoratore e l’altro paragonabili a quelle tra i banchi delle scuole, tutte chiuse senza distinzione, come fanno le istituzioni a garantire che i call center rimasti aperti operino davvero in regime di sicurezza per chi lavora e per gli altri con cui entrano a contatto finito il turno di lavoro? Pensiamo che, fosse anche solo per la memoria di Emanuele Renzi, il governo debba rispondere al più presto.

 La risposta di Tim

Il Salvagente ha contattato Gruppo Distribuzione per un commento dall’azienda, ed è in attesa di un riscontro, che sarà lieto di pubblicare appena ricevuto. Nel frattempo, abbiamo chiesto a Tim, committente per il quale lavorava il giovane, se fosse stata informata di quanto accaduto nel call center di via Faustiniana, e se avesse fatto pressioni e verifiche sull’azienda a cui sono stati appaltati i centralini 187, con lo scopo di garantire la sicurezza dei lavoratori. Ecco la risposta della compagnia telefonica: “Tim desidera precisare che si tratta di un call center gestito da altra azienda che fornisce servizi per diversi clienti tra cui anche Tim.  Tale azienda è l’unico soggetto sul quale ricade per i propri dipendenti la responsabilità di applicare tutte le misure cautelative di contenimento della gestione dell’emergenza Covid-19, previste dal Governo. Tim si è impegnata fin dall’insorgere dell’emergenza a seguire con la massima attenzione le indicazioni fornite dalla Protezione Civile e dal Ministero della Salute, mettendo in campo per i dipendenti del Gruppo ogni possibile misura di prevenzione finalizzata a limitare la diffusione del Coronavirus”

“Lavoravo nel call center con Emanuele, le voci di contagio giravano da inizio marzo”