Dopo il Veneto, nel giro di poche ore si sono aggiunte Toscana, Emilia-Romagna e Umbria, secondo cui le direttive del governo di fare i tamponi per il coronavirus solo a chi mostra sintomi evidenti non bastano, bisogna estendere i controlli anche agli asintomatici. Sul tema è in corso un aspro dibattito tra chi sostiene la misura inutile, onerosa e irrealizzabile, e chi la vede come l’unica via per ridurre massicciamente in contagi invisibili in breve tempo.
Zaia: “Andremo con il camper a fare tamponi a tutti”
Il presidente della regione Veneto, Luca Zaia ha dichiarato: “Andremo col camper a fare il tampone a tutti”, ”Le persone positive asintomatiche devono essere individuate perché se vanno in giro contagiano altre persone anche senza saperlo. Quindi dobbiamo isolarlo. Noi siamo in grado di fare 20-25 mila tamponi al giorno e avere il risultato in quattro ore”. Il suo omologo toscano, Enrico Rossi, ha annunciato di essere pronto ad acquistare 500mila test per avviare uno screening di massa, mentre Bonaccini (Emilia-Romagna) ha dichiarato di voler seguire questa strada a partire dal personale medico, e anche l’Umbria sta ragionando sul come estendere i test a tutti.
L’Oms: fare più tamponi possibili
Del resto, lo stesso Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), ha spiegato: “Abbiamo visto un aumento delle misure per evitare contatti tra le persone come la cancellazione di eventi sportivi. Non abbiamo però visto un’escalation sufficiente del numero di test effettuati, che rappresentano la spina dorsale della strategia per rispondere al virus” e ha aggiunto: “Il modo più efficace per prevenire le infezioni e salvare vite umane è rompere le catene della trasmissione. Per farlo, è necessario testare e isolare. Non si può combattere un fuoco con gli occhi bendati”. L’Oms ha confermato comunque la linea di testare solo i sospetti con sintomi, ma questa particolare sottolineatura sul bisogno di fare più test possibili a spinto molti a chiedersi se i tamponi a tappeto non siano la soluzione.
I 2 studi che indicano la via del tampone agli asintomatici
Dal punto di vista scientifico negli ultimi giorni sono arrivati i risultati di due studi che sembrano avvalorare la tesi dei rilievi fatti anche agli asintomatici. Secondo i risultati dello studio epidemiologico effettuato nel paese veneto di Vò sotto la direzione del Dr. Andrea Crisanti, Direttore della Cattedra dell’Unità Diagnostica di Microbiologia e Virologia dell’Università di Padova, il tampone per la ricerca del Covid-19 eseguito a tutti gli abitanti del paese ha dimostrato che la grande maggioranza delle persone che si infetta, tra il 50 e il 75%, è completamente asintomatica, ma rappresenta comunque una importante fonte di contagio. Vo’ è anche ad oggi l’unico comune italiano in cui, grazie all’isolamento totale si è abbattuto il numero di contagi. In un paper pubblicato su Science, i ricercatori dell’Imperial College di Londra, guidati da Ruiyun Li Imperial College London hanno studiato l’epidemia in Cina rilevando che prima del lockdown (autoisolamento collettivo), l’86% delle infezioni era asintomatico e non rilevato e la capacità dei casi asintomatici di infettare i sani è pari al 55% di quella dei casi con sintomi; Il contagio da casi non rilevati è responsabile del 79% dei contagi accertati. Secondo gli autori dello studio inglese le mosse da combinare per ridurre il contagio al più presto sono l’autoisolamento, il tracciamento degli spostamenti, e i test sui potenziali contagiati.
Il rischio di contagio tra persone apparentemente sane
Ma chi sono i potenziali contagiati? Sono soltanto le persone con sintomi? Purtroppo come abbiamo visto si contagia molto anche in fase di incubazione e asintomatica. Dunque, per fare un esempio, un potenziale contagiato potrebbe essere tranquillamente il collega di un contagiato accertato, che non ha alcun sintomo. A questo però viene richiesto attualmente di restare in casa, ma non viene sottoposto al test. Basta un contatto in più con un familiare che deve uscire per fare la spesa, o per andare a lavorare in farmacia, in edicola, al supermercato o in ospedale, per avviare una nuova silenziosa, invisibile catena di contagi.
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Chi difende le disposizioni attuali
C’è invece chi ritiene, tra scienziati e virologi, che vista la norma di lockdown in tutto il territorio nazionale, il tampone a tutti sarebbe inutile, in Italia, soprattutto nelle zone dei focolai, come la Lombardia e il Veneto, dove ormai i casi sono così tanti che l’emergenza è quella di mettere in sicurezza le operazioni dentro gli ospedali e trovare posti letto ai malati, prima di tutto. Secondo il virologo dell’Università degli Studi di Milano Fabrizio Pregliasco, la procedura attuale, che passa per la validazione dell’Istituto superiore di sanità, è anche la più sicura per garantire i risultati dai falsi positivi e dai falsi negativi.
I problemi economici
Ma prendendo per buona l’ipotesi dei tamponi a tappeto, è davvero fattibile? Quanto costerebbe? Ad oggi, il test si esegue nei laboratori del Servizio sanitario nazionale attivi in tutte le Regioni o a domicilio. Fino al 15 marzo sono stati effettuati in tutta Italia circa 150 mila tamponi. Il costo per il materiale di un singolo tampone faringeo si aggira attorno a 1 euro, ma tutta la procedura in laboratorio arriva a 15 euro (fonte Repubblica). Se ipotizziamo, visti le ridotte relazioni sociali, di testare 10 contatti per ogni caso accertato, servirebbero 260mila test ad oggi, a fronte di 26mila casi attivi. In termini economici si tratterebbe di reperire 3,9 milioni di euro, poco meno di 8 milioni se si adottasse la linea di testare in media 20 persone per ogni contagiato, o se si procedesse col doppio test per ognuno. Una cifra non da poco, ma non fuori dalla portata di un paese in emergenza come l’Italia.
I limiti strutturali
A rendere più complicata la manovra del tampone a tappeto sono semmai i limiti strutturali: i laboratori autorizzati a farli sono una cinquantina in tutta Italia, già oberati di lavoro e incapaci di stare al passo con le richieste da parte delle strutture sanitarie. Bisognerebbe aumentare i dipartimenti di prevenzione autorizzati al prelievo, e i laboratori per le analisi, ma significherebbe trovare molti tecnici disposti ad andare a lavoro lasciando l’auto-quarantena per una missione così delicata. La situazione è aggravata dal fatto che negli ultimi anni questo settore ha subito tagli, come il resto della sanità, contribuendo a togliere ossigeno ai reparti operativi in piena emergenza coronavirus. In poche parole, anche per l’aspetto tecnico, servirebbe un investimento importante. Inoltre, c’è la questione legata al numero di tamponi disponibili. Solo il Veneto ne ha ordinati 100mila, ma in generale la reperibilità è resa complicata dall’elevata richiesta internazionale.
Dove sarebbe più utile
Elencati i principali ostacoli alla politica del tampone a tappeto, resta quando detto detto al Manifesto da l’immunologo Sergio Romagnani dell’università di Firenze, che ha risposto così a Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore della sanità, che ritiene irrealistica l’operazione: “È irrealistico nelle regioni più colpite, che già hanno troppi test da fare. Ma sarebbe importante in regioni in cui l’infezione è ancora contenuta come la Toscana. Qui avremmo il tempo di individuare almeno una parte degli operatori, medici, infermieri che sono contagiati e non lo sanno”.
Il rischio del caos con i kit fai da te
Le regioni, intanto, si stanno muovendo autonomamente. E non sono le sole: cominciano a circolare sui social pubblicità o passaparola di test fai da te da acquistare per capire nel giro di pochi minuti se si è contratto il coronavirus in base al numero di anticorpi. In mancanza di risposte istituzionali, il rischio che subentri il caos dei kit farlocchi è reale.