In occasione del World Economic Forum di Davos, Fairwatch, Terra! e Cospe lanciano, come parte della Campagna Stop Ttip/Ceta, “Processo al futuro”, un nuovo rapporto di denuncia che rivela la strategia delle compagnie fossili per bloccare o rallentare la transizione ecologica. “Sempre più spesso, infatti, le grandi imprese attaccano la legislazione ambientale tramite l’arbitrato internazionale, un sistema di corti sovranazionali non trasparenti a disposizione del settore privato” spiega il report, secondo cui “Grazie a questo vero e proprio sistema giudiziario parallelo, le aziende possono chiedere compensazioni miliardarie agli Stati che promuovono leggi lesive dei loro profitti, anche se queste politiche vanno in direzione dell’interesse pubblico o della lotta al cambiamento climatico”. Secondo la Campagna Stop Ttip, in un processo senza giuria né pubblico, davanti a tre avvocati commerciali, i governi devono difendere moratorie sulle trivellazioni, piani di uscita dal carbone o dall’energia nucleare. E spesso perdono la causa o sono spinti a patteggiare per evitare risarcimenti troppo onerosi. Ma spesso il patteggiamento comporta il ritiro delle proposte di legge o l’indebolimento dei piani climatici, con grave danno per i cittadini e l’ambiente. Monica Di Sisto, vice presidente di Fairwatch e portavoce della Campagna Stop Ttip/Ceta spiega: “L’esistenza di questi tribunali semi-segreti è possibile grazie a migliaia di accordi sul commercio e gli investimenti che gli Stati hanno firmato in questi anni – spiega – Con questa nuova indagine vogliamo dimostrare che l’agenda commerciale italiana ed Europea oggi è incompatibile con il Green New Deal proposto nelle scorse settimane. Bisogna invertire le priorità fra business e i diritti umani, e i signori di Davos devono essere fermati”.
I numeri parlano chiaro
La clausola di protezione degli investitori (ISDS – Investor-to-State Dispute Settlement) è infatti un punto cardine della maggior parte dei 3mila trattati commerciali in vigore fra due o più Paesi. Gli ultimi dati disponibili – anche se molte cause rimangono secretate – raccontano che le imprese l’hanno utilizzata 983 volte per trascinare alla sbarra governi “colpevoli” di proporre politiche sgradite. Delle 677 passate in giudicato, ben 430 hanno visto un successo totale o parziale delle aziende (191 risolte in favore dell’investitore, 139 chiuse con un patteggiamento). Nella gran parte dei casi, il Paese denunciato (l’ISDS è un sistema a senso unico, in base al quale uno Stato può solo comparire come imputato, mai nelle vesti dell’accusa) ha pagato almeno le spese legali, che mediamente ammontano a 8 milioni di euro ma possono lievitare fino a 30. “È proprio la legislazione ambientale a trovarsi oggi sotto attacco diretto delle multinazionali del fossile – aggiunge Francesco Panié, ricercatore dell’associazione Terra! tra gli autori del rapporto – Mentre l’Italia e l’Unione Europea si trovano a dover fronteggiare gli effetti del cambiamento climatico, i giganti dell’inquinamento remano contro, usando i tribunali arbitrali come clava per bloccare o rallentare l’azione per il clima”.
L’attacco al trattato sulla Carta dell’Energia
In particolare, il Trattato sulla Carta dell’Energia è il più invocato dagli investitori per avviare contenziosi contro i governi: ben 128 cause arbitrali sono state mosse impugnando questo accordo. Il rapporto “Processo al futuro” elenca una serie di casi emblematici in cui diversi Paesi tra cui Italia, Francia, Olanda e Svezia sono stati bersaglio di richieste di risarcimento avanzate da compagnie energetiche dei settori di carbone, gas e petrolio. In particolare, l’Italia potrebbe trovarsi nel 2020 a dover pagare fino a 350 milioni di dollari alla Rokchopper, compagnia petrolifera britannica che nel 2017 ha fatto ricorso in arbitrato contro l’introduzione del divieto di trivellazioni entro le 12 miglia marine. “Di fronte a questo scandalo l’Unione europea non sta facendo abbastanza – dichiara Alberto Zoratti, ricercatore del Cospe tra gli autori del rapporto – Invece di eliminare l’ISDS dai trattati sugli investimenti, sta negoziando a Vienna in questi giorni una proposta per trasformarlo in una Corte internazionale permanente che diventerebbe a tutti gli effetti un tribunale mondiale per le grandi imprese. Questo non è accettabile”.