“Cinque ragazzi stanno facendo oscillare i machete in una fattoria di cacao, avanzando lentamente contro un muro di cespugli. Le loro espressioni sono impassibili, quasi vuote e raramente parlano. Gli unici suoni nell’aria immobile sono il fruscio delle lame che tagliano l’erba alta e i ping metallici quando colpiscono qualcosa di più duro.
Ognuno dei ragazzi ha attraversato il confine mesi o anni fa dalla impoverita nazione dell’Africa occidentale del Burkina Faso, prendendo un autobus da casa e genitori per arrivare in Costa d’Avorio, dove centinaia di migliaia di piccole fattorie sono state scavate nella foresta.
Queste fattorie costituiscono la fonte più importante al mondo di cacao e sono il luogo di un’epidemia di lavoro minorile che le più grandi compagnie di cioccolato del mondo hanno promesso di sradicare quasi 20 anni fa”.
Inizia con queste parole il reportage davvero impressionante di Peter Whoriskey and Rachel Siegel arricchito dalle foto di Salwan Georges che sul Washington Post descrivono senza veli il fallimento dell’impegno, preso circa 20 anni fa dalle multinazionali del cioccolato, di porre fine alla piaga del lavoro minorile.
Una piaga che continua ad affliggere un po’ ovunque ma è quasi incontenibile in Africa occidentale, dove, secondo un rapporto del Dipartimento del lavoro degli Stati Uniti nel 2015, oltre 2 milioni di bambini erano impegnati in lavori pericolosi nelle regioni di coltivazione del cacao.
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Le ragioni di un fallimento tanto clamoroso sono diverse, c’è innanzitutto la povertà della regione, le basse paghe dei lavoratori che costringono le famiglie a spedire i propri figli nei campi. Ma c’è anche la palese ignoranza delle industrie sull’origine del cacao che acquistano. Hershey, Mars e Nestlé – i giganti del settore – ancora oggi non possono garantire che i loro cioccolatini siano prodotto senza lavoro minorile.
Non riescono neppure a identificare le fattorie da cui proviene tutto il loro cacao, figuriamoci se possono giurare che il lavoro minorile non sia stato utilizzato. Mars, secondo le dettagliate ricostruzioni dei due cronisti, può rintracciare solo il 24 per cento del suo cacao nelle fattorie; Hershey, meno della metà; Nestlé il 49% della sua fornitura globale di cacao.
Difficile, dunque, dare qualunque assicurazione credibile ai consumatori, meglio ridimensionare le pretese di eticità, spiega il servizio del Washington Post. E così dall’eliminazione del lavoro minorile entro il 2005, ora l’obiettivo da raggiungere il prossimo anno prevede solo una riduzione del 70%.
Un’altra promessa difficile da mantenere in una fattoria media ivoriana dove, spiegano i reporter sulla base dei dati Faitrade, il reddito familiare annuale del contadino è di circa 1900 dollari, ben al di sotto dei livelli che la Banca Mondiale definisce povertà per una famiglia. Con salari così bassi, i genitori ivoriani spesso non possono permettersi i costi per mandare i propri figli a scuola – e invece li usano nella fattoria, conclude l’inchiesta.