Cozze, dopo la diossina ora a Taranto scatta l’allarme per l’epatite A

Dopo la diossina ora a Taranto c’è il rischio epatite A. E l’allarme arriva dopo che, il 23 maggio scorso, la Ue ha comunicato sul sistema di allerta rapido comunitario, Rasff, che in Italia erano in vendita cozze greche contaminate da epatite A. Proprio in questi giorni VeraLeaks, portale di inchiesta giornalistica, fondato da Luciano Manna, che da maggio 2018 ha pubblicato foto, video e documento che provano l’attività di allevamento illecito delle cozze in una parte del golfo di Taranto interdetto alla coltura dei mitili, ha testioniato come “da diversi giorni, e con periodicità settimanale, il secondo seno del Mar Piccolo si sta riempendo di mitili provenienti dalla Grecia e tutte le operazioni svolte per attrezzare gli impianti di mitilicoltura ad accogliere questo prodotto estero, da informazioni acquisite, non sembrano rispettare la legge“.

Le cozze a Taranto sono sempre state delle “sentinelle” di quello che succede in città. Peacelink, l’associazione eco-pacifista, con le analisi proprio sulle cozze nel 2011 portò alla luce la contaminazione da diossina causata dall’Ilva di Taranto. Nell’agosto scorso sempre  VeraLeaks pubblicò i dati delle Asl locali sui nuovi “sforamenti” di diossine e Pcb nelle cozze e denunciò l’attività illecita nel primo seno del Mar Piccolo dalla quale scaturirono arresti e sequestri dell’autorità giudiziaria.

“Tir dalla Grecia. Chi controlla?”

Scrive oggi il portale fondato da Manna: “Accade che due volte alla settimana arriva a Taranto un Tir dalla Grecia che scarica mitili presso un molo del secondo seno. Dal mezzo gommato i mitili vengono scasricati direttamente su un battello che immediatamente dopo, grazie alle operazioni del suo equipaggio, se così si può chiamare, immette le cozze greche nello specchio d’acqua del Mar Piccolo. In questo caso tutte le norme, le autorizzazioni e i controlli sanitari sembrano essere ignorati. Il molo dovrebbe essere un punto di sbarco autorizzato, ma non può esserlo in virtù del fatto che solo qualche settimana fa lo stesso molo era gestito abusivamente da un’altra famiglia e quella che oggi vi opera gestisce il molo dopo aver cacciato la precedente; il prodotto arrivato con il Tir dovrebbe passare dai controlli degli Uffici Veterinari per gli Adempimenti degli obblighi Comunitari (UVAC); il natante utilizzato, su cui vengono caricate le cozze, dovrebbe avere una licenza come imbarcazione asservita agli impianti di acquacoltura, inoltre dovrebbe avere il certififato di sicurezza RINA; il personale di bordo, oltre a dover essere regolarmente assunto, dovrebbe figurare sul libretto di navigazione, così come il comandante, o sul foglio di ricognizione della Guardia Costiera”.

Danneggiati i consumatori e la filiera legale

La conclusione dell’inchiesta è ancora più disarmante: “A stagione delle cozze iniziata, quella della cozza tarantina va dalla primavera sino alla prima metà di agosto, anche quest’anno la mitilicoltura è interessata da una filiera totalmente illecita che introduce nel mercato regolare, e fa giungere sulle tavole del consumatore, cozze potenzialmente nocive che non hanno subito nessun controllo sanitario. Ogni operazione della filiera dei mitili è gestita nell’illecito: dall’allevamento alla vendita. Ciò non fa altro che danneggiare chi ancora oggi, in un proprio e vero atto eroico, continua a lavorare nella mitilicoltura legalmente”.

La re-immersione e l’etichettatura d’origine

Al di là degli eventuali illeciti e della possibile contaminazione da epatite A, la re-immersione in acqua dei mitili per terminare la loro crescita è una procedura legale. La legge stabilisce che se una cozza ha trascorso gli ultimi sei mesi in un determinato paese (ad esempio è “nata” in Grecia ma poi è cresciuta per gli ultimi sei mesi in un altro mare) ne assume l’origine geografica in etichetta.