E171, il nemico invisibile. Dove si nascondono le nanoparticelle

Non ci facciamo caso, perché sono parte della nostra quotidianità, ma salse fluide e cremose, formaggi candidi come la neve, dolci soffici per settimane sono tutti cibi più che elaborati. Iper-tecnologici. Oggi l’industria alimentare aggiunge alla maggior parte dei prodotti una serie di coloranti, addensanti e additivi. In alcuni casi si tratta di particelle ingegnerizzate, di dimensioni minime. 

Acquista qui il nuovo numero. Caramelle, gomme da masticare, confetti tipo M&M’s, farmaci, farmaci come l’efferalgam e il Buscopan…. Il Salvagente nel numero di giugno in edicola ha portato in laboratorio 12 prodotti alla ricerca del biossido di titanio. Trovandolo spesso in nanoparticelle

Un caso-simbolo è il biossido di titanio: noto e contestato additivo utilizzato nelle creme solari ma anche nelle protesi dentarie e perfino in molti cibi, è prodotto spesso in forma nanometrica. Un rischio nel rischio. Partendo da questa consapevolezza, nel numero di Salvagente in edicola dal 23 maggio (acquista qui la versione digitale)abbiamo pubblicato l’inchiesta di copertina dedicata proprio al biossido di titanio. Abbiamo acquistato 12 prodotti – tra snack, confetti al cioccolato, alle mandorle, gomme da masticare e farmaci – e li abbiamo portati in laboratorio per verificare se la presenza di questo additivo si limitava alla forma standard, così come dichiarata in etichetta, oppure se erano presenti cristalli di E171 in forma nano e micro.

Il pericolo nascosto

Ebbene, in tutti i prodotti in cui le analisi hanno confermato la presenza dell’additivo, questo era presente anche in dimensione nano e micro in forma di anatasio, la più pericolosa tra le morfologie che può assumere il cristallo di biossido di titanio. Cosa significa tutto questo? Il risultato delle analisi solleva – a nostro giudizio – almeno quattro quesiti a cui è necessario trovare una risposta per il bene di chi consuma questi prodotti, nella maggior parte bambini. Partendo da un presupposto: la sicurezza del biossido di titanio è ancora controversa. O meglio, se non ci sono dubbi sulla sua pericolosità quando è respirato – nel 2006 la Iarc ha definito il biossido di titanio “possibile cancerogeno per l’uomo” quando inalato – la questione è ancora del tutto aperta sui rischi per l’uomo quando questo additivo viene ingerito. Nel 2017 una ricerca firmata dall’Istituto nazionale francese per la ricerca agronomica (Inra), ha mostrato – per la prima volta – che l’esposizione cronica al biossido di titanio, tramite la sua ingestione, “provoca stadi precoci di cancerogenesi”. Una conclusione che ha portato il governo francese, dopo una serie di ripensamenti, a sospendere l’immissione nel mercato di prodotti che contengono tra gli additivi il biossido di titanio a partire da gennaio 2020. L’Europa, invece, è rimasta a guardare ignorando i pericoli ventilati dall’Inra. Rischi amplificati quando parliamo di particelle di dimensioni nanometriche: che proprio per le dimensioni ridotte possono penetrare nel nostro organismo danneggiandolo e arrivando a raggiungere perfino il Dna. Evitarlo è impossibile, visto che il consumatore non è in grado di riconoscerle. Se l’articolo 18 del Regolamento Ue 1169/2011 è chiaro nel prevedere che tutti gli ingredienti presenti sottoforma di nanomateriali devono essere indicati in etichetta, è anche vero che il 1363/2013 esclude l’obbligo per i nanoingredienti di additivi autorizzati. E ancora oggi l’E171 è autorizzato. 

Perché nessuno dichiara le nanoparticelle?

In tanta ambiguità, le nostre analisi hanno dimostrato che il biossido di titanio è presente anche in dimensioni al sotto dei 50 nanometri  (50 miliardesimi di metri) senza che in etichetta se ne faccia menzione. Possibile che il produttore ometta queste informazioni così importanti perché ignora la presenza di particelle di E171? 

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Andrea Cavallo, responsabile del laboratorio di Microscopia elettronica e microanalisi ad ultra risoluzione – Certema, ha più di un dubbio: “Non credo si tratti di una contaminazione accidentale dal momento che in alcuni prodotti la quantità di queste piccolissime particelle è molto elevata. Credo, piuttosto, che il produttore abbia inserito nel ciclo il biossido di titanio non preoccupandosi di verificare le dimensioni dei cristalli ma fidandosi delle dichiarazioni di chi gli ha venduto l’additivo”. 

Le uniche certezze sono che il biossido di titanio in nanoparticelle c’è e che è impossibile quantificare il rischio perché il biossido di titanio non si distribuisce in maniera uniforme in tutti i prodotti con la conseguenza che in uno stesso lotto, o addirittura in una stessa confezione, ci possono essere prodotti dove è più concentrato, altri meno e altri dove non è nemmeno presente. 

Una vera e propria “roulette russa” che andrebbe risolta a livello legislativo con la messa la bando della sostanza, tanto più che è utilizzata solo a fini estetici non ha alcun valore nutrizionale, né svolge alcuna funzione tecnologica benefica.