L’industria agroalimentare giura di non farne uso, ma le analisi di laboratorio dicono tutt’altro. Caramelle, cioccolati e dolciumi in vendita in negozi e supermercati sono pieni di nanoparticelle, materiali con un diametro inferiore a 100 nanometri, la cui innocuità non è certa, e che ingeriamo senza saperlo attraverso il cibo.
A denunciarlo è il mensile francese 60 millions de consommateur che ha portato ad analizzare in laboratorio 18 prodotti, tra torte, cioccolatini e dessert surgelati per bambini, che indicavano in etichetta l’utilizzo di un additivo alimentare, il colorante E171.
Tutto lecito, se non per il fatto che le analisi hanno dimostrato che una rilevante percentuale di questo additivo è costituita da biossido di titanio, un nanomateriale che oltre a rafforzare il colorante, tiene lontana l’umidità che può alterare il prodotto. E la sua presenza avrebbe dovuto essere indicata in etichetta con la dicitura “nano” posta prima del nome dell’ingrediente in cui è contenuto, come richiesto dal 2014 dal Regolamento europeo sull’informazione dei consumatori.
Ma il problema non è solo di etichetta. La cosa grave è che il test ha dimostrato che tutti i campioni contengono nanoparticelle.
E addirittura in due prodotti l’additivo alimentare si presenta totalmente sotto forma di nanoparticelle.
La presenza, dunque, è massiccia, altro che “tracce residuali” come sostenuto dall’Associazione nazionale francese dell’industria alimentare. Si tratta infatti di una percentuale piuttosto importante: almeno il 20% nella maggior parte dei prodotti analizzati.
Delle aziende contattate dalla rivista francese per avere spiegazioni, hanno risposto circa la metà (tra cui Unilever, Nestlé e Mars), e tutte hanno affermato di non utilizzare nanomateriali.
Mala fede o ignoranza?, si chiedono i giornalisti autori del test.
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Ecco i prodotti testati
Tre le tipologie di prodotti alimentari messe sotto esame dalla rivista francese: caramelle, dessert surgelati e biscotti/snack.
Tra le caramelle troviamo: Elodie gusto frutta, Copains Copines, Emotionali (Lindl) e Skittles.
Nel colorante E171 utilizzato in questi prodotti è stata rilevata la presenza di nanoparticelle in percentuali variabili tra il 16 e il 25%.
I dessert testati sono stati invece: torta ai lamponi Labeyrie, torta vaniglia e frutti rossi Monoprix Gourmet, crema di latte Thiriet, praline al cioccolato Franprix, assortimento di 12 mignon Les plaisirs patissiers (Auchan) e assortimento di mignon Autour du dessert. Qui le percentuali vanno dal 15 al 100% (la torta vaniglia e frutti rossi Monoprix Gourmet).
Infine, tra gli snack e i biscotti sono stati scelti per l’analisi: M&M’s, miny mammouth Zed Candy, Tea Time Delacre, LU Napolitain cioccolato e lamponi, i biscotti Rik & Rok (Auchan), Biscuits d’Ys, Milka Choco Mix Oreo e i biscotti Lightbody Star Wars. Proprio in questi ultimi la percentuale di biossido di titanio nel colorante è del 100%. La percentuale più bassa è del 12% (nel prodotto LU).
Le nanoparticelle sono pericolose per la salute e l’ambiente?
Gli studi attuali non permettono ancora di saperlo con certezza. Ma le preoccupazioni sono tante.
Il diossido di titanio incontra un utilizzo quotidiano crescente (ad esempio, in filtri solari, vernici, coloranti alimentari). Secondo numerosi studi tossicologici provocherebbe effetti dannosi per la salute umana ed è classificato come possibile cancerogeno.
60 millions de consommateurs ricorda che lo scorso aprile l’Agenzia nazionale della sicurezza sanitaria dell’alimentazione (Anses) ha lanciato un allarme proprio sul biossido di titanio, dopo la pubblicazione di uno studio dell’Inra: i ricercatori avevano fatto ingerire ai topi il nanomateriale contenuto nel cibo, in una dose proporzionale a quella che può ingerire l’uomo. Dopo 100 giorni hanno osservato che il biossido di titanio ha provocato una crescita accelerata nel colon di polipi benigni.
Ma altri risultati non sono meno preoccupanti: le nanoparticelle di certi additivi sono capaci di attraversare la barriera intestinale e finire nel fegato, nei polmoni e nel cervello.
Aspettando che la scienza si pronunci definitivamente sulla loro nocività, non sarebbe dunque meglio evitare l’esposizione alimentare a queste sostanze?