Ci possiamo fidare davvero del biologico?

Controlli a tappeto per scovare possibili frodi e ricerca del giusto prezzo minimo per i prodotti bio. Sono due fronti su cui AssoBìo (Associazione nazionale delle imprese di trasformazione e distribuzione dei prodotti biologici) insieme a tutto il mondo del biologico è impegnata affinché aumenti la credibilità del settore in tempi in cui non è più solo vocazione ma anche business e per ampliare ulteriormente il panorama degli acquirenti.

Se ne è parlato al Sana di Bologna in un appuntamento intitolato “Tutto quello che avreste voluto sapere sul bio ma non avete mai osato chiedere”, durante il quale si è fatto il punto su un settore che è cresciuto del 20% nel corso dei primi mesi del 2016 e che, aumentando il numero delle imprese coinvolte, può diventare anche più vulnerabile. Accade infatti che per fronteggiare la crisi che ha fatto chiudere dal 1990 al 2010 oltre un milione mezzo di aziende agricole, alcune di queste si convertano al bio, per cambiare rotta e perché il mercato lo chiede.

GUERRA AI FURBETTI DEL BIO

Contro i furbetti del settore si è pronunciata recentemente anche la Corte di Cassazione che con la sentenza 35387 depositata a fine agosto ha “confermato il reato di frode in commercio per chi vende arance convenzionali spacciandole per biologiche indipendentemente dal profitto e respinge il ricorso dell’amministratore unico e del gestore di fatto di una società ortofrutticola che nel 2009 aveva acquistato arance da un’altra srl e le aveva messe in commercio dopo averle etichettate illegalmente come biologiche”, come si legge nella rivista di AssoBìo.

 

BIO, BASTA LA PAROLA?

Esiste il bio al 100%? Come si fa a certificare bio un’azienda agricola che ha appezzamenti confinati con terreni in cui non si coltiva bio?

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Queste due delle domande che più di frequente viene rivolta dai consumatori che hanno timore di “essere fregati”.

“È evidente che in un mondo molto inquinato è difficile parlare di un bio al 100%”, concede il presidente di AssoBìo Roberto Zanoni, ma questo non significa che ciò che viene coltivato con metodi biologici non lo sia.

Roberto Corioni, responsabile qualità di AssoBìo, fa un esempio: “Prendiamo la Val Venosta e le mele. Se il coltivatore biologico ha un campo contiguo con uno in cui non si coltiva biologico, si occupa lui stesso dei trattamenti degli alberi confinati”. Il panorama degli interventi simili a questo è variegato e comunque garanzie ulteriori e definitive vengono date dalle analisi che non solo controllano eventuali tracce di agrofarmaci ma anche le acque, i rifiuti contigui ai terreni, ad esempio.

CONTROLLI SULL’IMPORT DALL’EST

L’attenzione è molto alta, assicurano da AssoBìo e si muove sia sui canali utilizzati per l’agricoltura convenzionale, sia su quelli resi operativi da enti e organi di certificazione. “Accade che dei soci vengano eliminati – riferisce Nicoletta Maffini, responsabile marketing e comunicazione – e si controllano anche i prodotti in arrivo dall’Est Europa, come ad esempio accade per il miele d’acacia”.

“L’incidenza delle non conformità che l’Ispettorato per la Repressione Frodi rileva nei prodotti biologici è un terzo di quella che rileva nei vini DOC”, fa sapere il segretario di AssoBìo Roberto Pinton, ed è fondamentale invece da parte egli enti certificatori essere molto attenti nei confronti delle aziende che richiedono di entrare nel mondo dell’agricoltura biologica. “In un momento in cui il bio non è più solo vocazione ma è diventato un business è fondamentale anche fare rete tra produttori”, aggiunge Zanoni.

VERSO UN BIO MENO CARO

Sul fronte dei prezzi, ancora oggi più elevati nel bio rispetto all’agricoltura convenzionale, si stanno facendo grandi passi e le differenze si vanno assottigliando sempre di più. Certi del fatto che il ministero dell’Agricoltura possa fare sempre di più sul fronte dell’indennizzo nei confronti dei coltivatori biologici tenendo conto dei benefici ambientali che questo tipo di agricoltura porta, anche il settore si sta muovendo affinché si possa arrivare a “stabilire per i prodotti bio il giusto minor prezzo che garantisca una buona sopravvivenza alle aziende agricole”, spiega Zanoni. Che aggiunge: “I produttori devono essere pagati in modo equo perché la crisi che ha travolto l’agricoltura convenzionale è stata scatenata dal basso costo con cui i prodotti agricoli sono stati pagati“.

Ciò che accade nel mondo del bio è che vengono “riconosciuti i costi di produzione”, sottolinea Pinton. Costi che sono evidentemente ancora più elevati nel campo dell’agricoltura biologica: banalmente, se il contadino non usa pesticidi significa che ha selezionato il terreno, il modo e il periodo giusto di coltivazione e che segue con attenzione la crescita della pianta.

La Grande distribuzione, che ormai in quasi tutti i casi ha creato una propria linea bio, ha un ruolo importante in questo senso perché riesce a contenere i costi. Ovvio, tuttavia, che bio non significa per forza buonissimo dal punto di vista organolettico: anche all’interno della filiera dei prodotti biologici c’è una ricerca della qualità organolettica importante che porta a differenziare molto i prezzi. La salubrità del prodotto è la stessa, l’impatto sull’ambiente anche, ma il prezzo finale può cambiare.