La ricerca di Oceana: 1 etichetta su 5 del pesce è fuorilegge

PESCE

Più di 200 studi pubblicati, su un totale di 55 paesi presi in considerazione. L’associazione non profit di avvocati Oceana ha fatto una lunga e interessante disamina di tutti i casi scoperti nel 2014 di errata o fraudolenta etichettatura del pesce.
E i primi dati che emergono è che un’etichetta su due analizzate era fuorilegge e che in circa il 65% degli studi l’adulterazione non era certo involontaria visto che portava a forti vantaggi economici per il venditore.
In dettaglio, il record degli “scambi” è quello subito dal pangasio spacciato per 18 tipi diversi di pesce, in genere per cernia e sogliola.
Anche i frutti di mare superano la soglia di attenzione con il 20% degli oltre 25.000 campioni di frutti di mare etichettati in maniera errata. Più della metà (58%) dei campioni sostituiti, spiega Oceana, ponevano un rischio per la salute per i consumatori a causa di parassiti, sostanze chimiche ambientali, farmaci utilizzati in acquacoltura e altre tossine naturali.
Sempre ai vertici delle specie scambiate ci sono, secondo la Ong, il persico, il nasello e l’escolar (o tirsite), tipi di pesce più comunemente sostituiti con specie a maggior valore. L’escolar è stato spesso venduto come “tonno bianco” in ristoranti di sushi negli Stati Uniti. Il persico, invece, finisce spesso per finire sul banco sfilettato e venduto come cernia o come persico “nostrano” per nasconderne la provenienza africana.
Proprio al tonno è dedicato un altro primato; il 98% dei 69 piatti di tonno rosso testati nei ristoranti di Bruxelles sono stati trovati contraffatti. Sui 200 campioni di cernia, pesce persico e pesce spada testati in Italia l’82% era etichettato in maniera sbagliata.

In Brasile, invece, il 55% dei campioni commercializzati come ”squalo” erano in realtà pesci sega, una specie per la quale è vietato il commercio.
In Spagna dei 25 campioni etichettati come “scorfano rosso“, solo 1 è risultato tale. Negli Usa, i test effettuati per il New York Times sul “salmone selvaggio” hanno evidenziato che in 6 casi su 8 si trattava di pesci d’allevamento.
Cernie e dentici sono comunemente etichettati male in tutto il mondo. Uno studio condotto in Belize ha rivelato che tra il 32 e il 51% dei 111 campioni testati appartenevano in realtà a specie a minor valore.
“A causa del pesce pescato illegalmente o trasformato senza tenere in considerazione la più minima garanzia dei lavoratori, è doppiamente importante migliorare la trasparenza e la responsabilità nella catena di fornitura dei frutti di mare”, ha detto il dottor Kimberly Warner, autore del rapporto e scienziato senior presso Oceana.