Santoro (Antigone): quanto pesa il proibizionismo sul carcere

Il proibizionismo nel nostro paese ha fallito come ha fallito nel resto del mondo. Non ha dubbi Gennaro Santoro, legale dell’associazione Antigone  – un’associazione politico-culturale nata alla fine degli anni ottanta “per i diritti e le garanzie nel sistema penale” – che aggiunge: “Ad accorgersene sono stati proprio gli inventori di tale guerra, gli americani, che in più di 15 stati federali hanno legalizzato l’uso terapeutico della cannabis, in alcuni casi anche l’uso ludico”.

Una tesi che Gennaro Santoro ha esposto anche nel corso dell’incontro pubblico che il Test-Salvagente ha organizzato il 28 novembre a Roma nel quartiere Pigneto: un momento di riflessione proprio sulla condotta rovinosa che il nostro governo continua a seguire.

Avvocato, quanto pesa il proibizionismo sul sistema carceri?

Iniziamo col dire che In Italia, continua ad essere vigente il D.P.R. 309/1990, così come profondamente modificato dalla c.d. Fini-Giovanardi. Una normativa repressiva e criminogena che ha costantemente riempito le patrie galere, portando al collasso il sistema penitenziario. Basti pensare che nei 25 anni della sua vigenza ha prodotto un tasso di carcerazione altissimo : il solo art. 73 ha prodotto fino al 35% della popolazione detenuta; senza contare l’imposizione di provvedimenti restrittivi della libertà impropriamente denominate sanzioni amministrative per più di un milione di persone (circa 800.00 segnalazioni in Prefettura per il solo consumo di cannabis).

Perché Antigone è antiproibizionista?

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Per tre motivi che potremmo definire di ordine etico-filosofico, giuridico penale e di politica criminale. Sotto il primo aspetto, siamo fermamente convinti che tutto ciò che non lede la libertà altrui non può essere vietato e sanzionato. Da un punto di vista giurdico-penale, ogni reato per essere tale deve essere ispirato al principio di offensività, costituzionalmente protetto. Non si deve limitare la libertà personale, bene primario dell’individuo, quando il suo comportamento non lede alcun bene o interesse costituzionalmente rilevante. La legge Fini-Giovanardi sulle droghe è un contenitore di delitti senza vittime, dove anzi l’unica vittima è il consumatore. E infine ritorniamo sul punto che ho espresso all’inizio della nostra conversazione: la war on drugs ha fallito. Le narco-mafie invece prosperano. È quindi il caso di cambiare strategia come la stessa direzione antimafia, molti investigatori e operatori del diritto suggeriscono.

La DNA stima in circa 3 milioni di kg l’anno l’offerta di cannabis sul mercato. Solo il 5-10% di tale offerta è oggetto di sequestro. Basta questo dato, della DNA e non dei centri sociali, per fotografare il fallimento della war on drugs e per convincersi che cambiare verso è il motto giusto, una scelta insieme pragmatica e ideologica da seguire.

Come saggiamente indicato nella relazione del ddl dell’intergruppo la legalizzazione è un’opzione di governo, che frutterebbe 8 miliardi l’anno alle casse dello stato, con benefici diretti alle attività di polizia, dei giudici e un prodotto qualitativamente superiore per i consumatori.

Qual è l’impegno antiproibizionista di Antigone?

Insieme alla Cild abbiamo lanciato una campagna non me la spacci giusta per promuovere un’opinione informata sulle sostanze e la legalizzazione della cannabis. Insieme ad altre associazioni, c.d. cartello di genova, stiamo sostenendo due disegni di legge per la legalizzazione, per una compiuta regolamentazione legale della produzione e della circolazione dei derivati della cannabis e della libera coltivazione, anche in forma aggregata, a uso personale. Mi riferisco all’iniziativa parlamentare dell’intergruppo per la cannabis legale, alla quale abbiamo affiancato una specifica proposta di legge dalle associazioni come ulteriore contributo alla discussione e che propone una riscrittura del Testo unico.

La nostra non è solo una battaglia ideologica che vuole, pretende il consumatore al centro, ma anche una campagna pragmatica che vuole, pretende di ottenere un risultato. E’ ormai scoccata l’ora antiproibizionista.

Il risultato minimo che ci proponiamo è di rendere lecita la coltivazione, in forma singola e aggregata, per superare l’attuale aberrazione giuridica secondo la quale la coltivazione è sempre reato di pericolo. Se ci perdiamo in sogni di rivoluzione organica/copernicana della materia, continueremo ad avere un mercato che spaccia la stessa sostanza in tutte le piazze, foraggia le narcomafie e mette in circolazione cannabis con pesticidi.

Ottenere tale risultato (la coltivazione lecita, il consumo e la diffusione di una sostanza pura o non tagliata), nel modo indicato dal ddl intergruppo è secondo me strada maestra. Perché in questo pdl si prevede un monopolio e un limite quantitativo di detenzione ragionevole (5 – 15 grammi), ma anche la possibilità ulteriore di coltivazione (5 piante femmine, non poco), con limiti quantitativi (che ci rendono più forti con l’opinione pubblica) e piccoli oneri di comunicazione ai monopoli di stato, del singolo e in forma aggregata. Senza la previsione di una tassazione. Dunque, prevedendo una indiretta promozione della coltivazione domestica in forma singola o aggregata che realmente può contrastare il malaffare. E può convincere gli indecisi che un cambio di rotta conviene. Per il bene comune.