Anche se sono tutti proiettati a quello che succederà da qui a poche settimane al causa della diffusione del Covid-19, basta andare indietro con la mente al marzo scorso per rivedere le immagini delle interminabili file davanti ai supermercati. Allora, il comparto della grande distribuzione organizzata si era trovato spiazzato come tutti davanti alla quarantena del paese intero, e gli scaffali vuoti e le risse all’ingresso ne furono un’inevitabile conseguenza. Ma ora, a nove mesi dall’inizio della pandemia, con nuove serrate all’orizzonte, come si è organizzata la grande distribuzione? Rischiamo di rivivere quelle scene? Ne abbiamo parlato con Daniela Ostidich, Ceo di Marketing & trade, società che si occupa di marketing e consulenza nel settore della Gdo.
Il mito del boom della Gdo
Innanzi tutto, Ostidich ci tiene a smontare un luogo comune su come il periodo di lockdown sia stato una miniera d’oro per i supermercati. Nonostante a maggio i dati diffusi dall’Istituto Nielsen parlassero di un +4,2% per il fatturato a parità di negozi, l’esperta afferma “L’andamento delle vendite non è stato particolarmente confortante per l’intero settore. Io ho tanti clienti e amici nella Gdo, e il sentimento comune è che sono stati mesi in cui ci son stati leggeri incrementi di vendite, diminuzioni in certi settori che magari erano i più marginanti, e il risultato complessivo non è stato positivo neanche per la Gdo alimentare”.
L’e-commerce ha mostrato tutti i suoi limiti
Si è venduto abbastanza bene in e-commerce, che però non è stato sufficiente a compensare le perdite delle grosse superfici, gli ipermercati, e anche lì forse i dati che sono circolati sono stati fin troppo ottimistici: sarà pur vero che come racconta Netcomm, il Consorzio del commercio digitale italiano, il 2020 è stato l’anno del boom per la spesa online, che ha raggiunto picchi di crescita 288% attestandosi su un + 50%, ma l’esperienza di chi trovandosi recluso in casa ha provato a evitare le code davanti al supermercato ordinando online è stata spesso di tutt’altro tipo: per dirla con una parola, frustrante. Secondo Daniela Ostidich, le Gdo hanno incontrato “problemi anche in termini economici, nell spostare un’attività su un canale che tendenzialmente i supermercati non sono nati per presidiare. Un conto è se sei Amazon e hai un focus di logistica e una determinata gestione dei fornitori. un conto è se tu sei nato per fare negozi fisici e tutto d’un tratto ti trovi a fare un altro lavoro” spiega l’esperta secondo cui “non essendo proprio il loro focus di business, l’e-commerce è stato presidiato malamente, con inefficienze, con costi elevati, e spesso a discapito dei negozi fisici dove hanno maggiori marginalità ”.
I problemi da risolvere
I problemi con l’e-commerce sono di tipo tecnico, che riguardano per esempio la funzionalità e l’efficacia del sito, e poi c’è una questione di prodotto: non tutti si prestano per essere consegnati. “Il fresco, per esempio – approfondisce l’esperta – ma anche i prodotti di gastronomia, come i piatti pronti. Perché stai a casa e te lo fai tu, e anche perché aprire la confezione e metterla sul piatto è un po’ triste, si perde il valore dell’esperienza, che si compra così come il prodotto. E c’è la questione logistica: in tanti si sono buttati nell’e-commerce, ma avere una rete di addetti che ti consegnino all’indirizzo esatto, prodotti in buone condizioni, che siano tracciabili, che siano affidabili, che riescano a gestire l’eventuale “fuori magazzino” di prodotti che nel frattempo sono stati venduti, è di una difficoltà incredibile”.
Le eccezioni: Amazon e Esselunga
Non a caso le uniche due catene che si sono mosse bene nei mesi di maggiore picco con l’e-commerce, secondo Daniela Ostidich sono Amazon, che è nata per l’e-commerce, e  Esselunga: “Quest’ultima perché ha sempre avuto un’anima un po’ militaresca e una logistica molto forte già col vecchio proprietario Caprotti. Si sono mossi prima. Erano partiti in e-commerce nello stesso momento in cui era partita Coop, poi c’è stato un periodo in cui e-coop era stata disattivata, perché in un primo tempo ci si perde, mentre Esselunga era andata avanti”.
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Come il lockdown erode la strategia dell’acquisto d’impulso
A perdere terreno durante il primo lockdown è stato soprattutto il mondo non food, e non solo perché ha subito parziali chiusure. “Tendenzialmente la gente in questi momenti si concentra sull’essenziale e funzionale – continua Ostidich – Di queste due sole categoria, nessuna economia va avanti, neppure quella della Gdo. Prendiamo l’esempio dei volantini di sottocosto: è ovvio che la perdita che la catena ha vendendo sottocosto un prodotto, la ricopre con una serie di altre vendite cosiddette di impulso. L’impulso è quello che tiene in piedi l’economia di una nazione capitalistica e più in dettaglio di una catena di supermercati”. Ma se la gente ha paura tende a stringere il portafogli, spiega l’esperta, “su internet compra quello che gli serve, e sta di meno al supermercato”. Ci sono dei supermercati, come Wall Mart negli Usa, che hanno reso disponibile una app da aprire all’interno del negozio. Serve a indicare esattamente in quale corsia e scaffale si può trovare un certo prodotto, e non sprecare tempo in una fase in cui l’angoscia per il virus e le code in attesa, spingono in tutt’altra direzione. “Ma questo è la morte del browsing, quello che ha tenuto in piedi Autogrill e Ikea. Il fatto che tu ti perdi tra gli scaffali ti dà la possibilità di vedere e comprare cose che altrimenti non compreresti”.
La differenza con i lockdown che arrivano (e spaventano la Gdo)
Con questo bagaglio di esperienza, come si approcciano le grandi catene di distribuzione organizzata i probabili lockdown che arrivano? “Secondo me tutta la Gdo è molto spaventata – risponde Ostidich – Sappiamo che il lockdown non sarà rigido come quello di marzo. La gente si è già mangiata i risparmi tra marzo e giugno. La società è fatta da una classe media che in gran parte si è vista finire in cig o che si è vista lasciare  a casa, perché magari lavora in ambito turistico, ristorazione, spettacolo. Quindi sicuramente la situazione è molto più negativa, le risorse sono minori”.
Parola d’ordine: giocare d’anticipo
A un quadro a tinte forte, la Gdo risponde tentando di giocare in anticipo, come la cartellonistica aggressiva per le città e i banner sul web raccontano: “Io vedo un tentativo di forzare sui prezzi da parte della Gdo molto forte, di offrire convenienza di prezzo molto alta. Cercano di tenere un livello di prezzi che sia sostenibile adesso come nel lungo periodo che magari ti faccia la differenza rispetto ai concorrenti. È una strategia un po’ da suicidio, perché se già i margini sono diminuiti, se tagli sui prezzi te li autoriduci. È una lotta per la sopravvivenza” osserva la Ceo di Marketing & trade, che sulla scelta di Amazon di anticipare e prolungare i super sconti del Black Friday, commenta: “Chi avrà i soldi a Natale per fare i regali? Allora si inizio a vendere adesso, ci sono gli sconti apposta. Penso che Amazon l’abbia fatto soprattutto per fare uscire i soldi dalle tasche delle persone prima che finiscano”. Del resto, come spiega l’esperta, il Natale vale tantissimo per la Gdo,” perché è il regno dell’inessenziale, dell’impulso, della gratificazione non solo in termini di regali ma anche di portafogli lasciato aperto. E quest’anno la tredicesima, per chi ce l’avrà , finirà per andare a compensare i risparmi che si sono mangiati prima”.
Ma il rischio scaffale vuoto è minimo
In ogni caso, se dovessimo finire di nuovo chiusi in casa, rischiamo di doverci contendere con il vicino di scaffale l’ultima confezione di farina o di lievito di birra? Secondo Daniela Ostedich questa volta possiamo stare tranquilli: “La differenza col primo lockdown è che sembra che questo secondo è che le fabbriche sembrano non chiudono. Alcuni “out of stock” erano dovuti al fatto che alcune aziende erano proprio chiuse. È vero che nel consumatore c’è sempre una logica di stock, nell’insicurezza io compro, però penso che sia in misura minore ora: anche perché se le persone non hanno soldi coprano poco alla volta”.