“Pensavo che la schiavitù fosse stata abolita due secoli fa!. Mi domandavo come fosse possibile che in Italia, un paese dell’Unione Europea, potessero accadere queste cose, senza che nessuno intervenisse”. Sono le parole di una lavoratrice italiana impiegata presso un polo logistico al servizio di H&M il famoso marchio di abbigliamento, finito nell’occhio del ciclone per le accuse di sfruttamento del lavoro da parte della campagna Clean Clothes Campaign, promossa in Italia da Abitipuliti.org. Ed è proprio alla campagna italiana che la lavoratrice ha scritto una lettera di cui riportiamo di seguito alcuni stralci, in cui le accuse nei confronti del brand sono pesanti anche rispetto il nostro paese.
“Turni di 12 ore”
“Lavoro dal 2016 presso un polo logistico italiano, gestito da XPO, azienda leader a livello internazionale nel settore della logistica e dei trasporti, che invia in 18 paesi i prodotti di H&M – scrive la lavoratrice – Donna sola, con due figli, sono abituata a lavorare sodo, anche sette giorni su sette quando è stato necessario. Mai avrei immaginato però che H&M mi avrebbe stravolto la vita. Nell’enorme magazzino in cui lavoro, che all’epoca occupava 350 persone, per la maggior parte donne e stranieri, il turno iniziava alle 4,30 della mattina con nessuna certezza dell’orario di uscita. Tutto era possibile, 4 ore di lavoro come 12, e un semplice sms, inviato la sera, fissava il tuo turno per il giorno dopo”. La donna continua: “Nel mio reparto smistavamo la merce prima del confezionamento e della spedizione. Stavo in piedi per ore e ore scaricando senza sosta da un rullo le ceste per la cernita. Per restare nei tempi richiesti, e non essere licenziati, bisognava lavorare alla massima velocità in tutti i reparti. Presto sono comparsi forti mal di schiena e non ho più avuto una vita privata. Non avevo tempo nemmeno per una visita medica. Per non parlare della famiglia, degli amici o dello svago! In piedi dalle 3 del mattino, dopo una lunga e dura giornata di lavoro, riuscivo a malapena ad arrivare sveglia all’ora di cena. Ho visto anche colleghe svenire per il caldo”.
Stipendio di mille euro
“E tutto questo in cambio di uno stipendio di circa 1.000 euro che qui da noi, se hai un affitto da pagare, bollette e figli, non basta neanche per arrivare a metà mese, se si tratta dell’unico reddito della famiglia” aggiunge la lavoratrice, che dopo un mese e mezzo dall’assunzione decide di iscriversi a un sindacato di base, il S.I.Cobas: “Abbiamo dato vita a una serie di scioperi e di iniziative di lotta che ci hanno portato denunce e lettere di richiamo. I contratti di lavoro di alcuni colleghi precari non sono più stati rinnovati per rappresaglia. Ci sono state però delle conquiste: turni con orari fissi, un calendario di lavoro settimanale, rapporti gerarchici più umani, sicurezza nel magazzino e altro ancora. Quello che purtroppo non siamo ancora riusciti a ottenere è uno stipendio adeguato, l’abolizione del sabato come giorno di lavoro ordinario e la domenica pagata con la giusta maggiorazione, i primi tre giorni di malattia e infortunio retribuiti; ferie, permessi e bonus aggiuntivi calcolati in modo corretto”.
Causa contro i lavoratori
La donna aggiunge che al momento in cui scrive riceve notizia di una causa intentata da XPO nei confronti del suo sindacato e di 147 lavoratori per danni patrimoniali e di immagine “che avremmo procurato con i nostri scioperi”. Inoltre, sarebbero stati annunciati 400-450 licenziamenti nel mio magazzino di lavoratori precari perché H&M sta aprendo nuovi poli logistici in Europa. “Questo però non ci fermerà, dobbiamo continuare a lottare. Dobbiamo resistere per la nostra dignità, per i nostri diritti, per una vita migliore in un mondo migliore. Solidarietà a voi, care colleghe, così lontane e così vicine”.
La petizione online
Intanto, sempre più consumatori esprimono la loro solidarietà con i lavoratori e l’aspettativa che H&M garantisca un salario dignitoso a tutti, senza ulteriori ritardi. La petizione lanciata nell’ambito della campagna “Turn Around, H&M!” ha, infatti, già raccolto oltre 135.000 firme.
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