Un nemico invisibile che rappresenta però un rischio concreto per la salute del consumatore. L’acrilammide è una sostanza ritenuta “probabile cancerogena” dalla Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Oms, molecola che si sviluppa quando cibi molto ricchi di amido – come le patate – vengono cotti a temperature superiori a 120 gradi. Condizioni di rischio che ritroviamo per alcuni versi amplificate nelle patatine fritte, tra i prodotti più esposti alla contaminazione. E così per capire qual è la concentrazione di questa sostanza abbiamo analizzato in laboratorio 18 campioni di patatine in busta, 16 chips classiche (da San Carlo ad Amica Chips, da Pata a Lays passando per tutte le confezioni a marchio della Gdo, come Coop, Conad, Lidl, Auchan, Carrefour, Todis, Eurospin, ) e due “snack” fritti a base di patate come le Pringles e le Cipster. I risultati, insieme a un ampio dossier sulle patatine fritte, comprese le risposte delle aziende, lo trovate nel nuovo numero in edicola da oggi 28 dicembre.
In sei superano i limiti di riferimento Ue
I risultati non sono affatto tranquillizzanti: un terzo del campione è al di sotto della sufficienza. Due campioni sono al limite della soglia di riferimento che è di 1.000 microgrammi per chilo mentre ben quattro lo superano.
Parliamo di prodotti fuorilegge? No perché, strano a dirlo, per l’acrilammide non esiste un limite di legge nonostante l’Efsa definisca questa sostanza in grado “di aumentare il rischio di sviluppare un cancro per i consumatori in tutte le fasce di età”. Al posto di un limite obbligatorio c’è un valore guida, definito proprio “limite di riferimento”, rivisto periodicamente dall’Efsa, al quale le aziende devono tendere, senza però alcun obbligo di rispettarlo.
E se questa soglia viene superata? Non succede nulla, il prodotto non viene ritirato dal mercato e il produttore non rischia nemmeno una multa. Il perché di tanta indulgenza è legata al fatto che l’acrilammide è un contaminante di processo difficile da eliminare del tutto che si produce, per fare un esempio, anche quando friggiamo a casa le patatine ma non per questo le aziende possono sentirsi sollevate dalle loro responsabilità.
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Il nuovo Regolamento ad aprile 2018
Ora, dopo anni di moral suasion da parte delle istituzioni europee sulle aziende, che visti i risultati dei monitoraggi non ha prodotto risultati soddisfacenti, la Commissione ha appena pubblicato il nuovo provvedimento sull’acrilammide, il Regolamento Ue 2158/2017 che entrerà in vigore l’11 aprile 2018, con il quale, pur non introducendo un limite di legge vero e proprio, avvia per la prima volta un giro di vite a tutela dei consumatori: i valori guida vengono abbassati (per le patatine fritte in busta si passa da 1.000 a 750 mcg/kg), le aziende saranno obbligate ad adottare delle misure per contenere l’acrilammide (in primis monitorando le temperature di cottura) e a verificare la situazione attraverso analisi periodiche.
La roulette russa dell’acrilammide
Basteranno le nuove regole a ridurre il pericolo? Di sicuro se oggi fosse in vigore il nuovo valore guida (750 mcg/kg) altri tre campioni non lo rispetterebbero. Tuttavia ragionando con i “limiti” attuali, dai nostri risultati emerge una situazione molto variegata (si va da un minimo di 56 microgrammi al chilo a 1.600 microgrammi) e questo consente degli ampi margini di intervento da parte delle aziende, come ci spiegano nel lungo dossier in edicola.
Il quadro analitico mostra anche dell’altro: una sorta di roulette russa difficile da controllare e che non rassicura né le aziende né consumatori. In alcuni casi le patatine fritte dallo stesso produttore per altri marchi (come nel caso di alcune private label della Gdo) presentano risultati molto differenti tra di loro. Segno che c’è bisogno di mettere a punto tutta una serie di accorgimenti per contenere l’acrilammide, un nemico insidioso ma che può essere combattuto.