Siamo abituati, ci hanno abituati: lo spazzolino per l’igiene orale è un attraente oggetto multicolore, funzionalmente sofisticato e indispensabile. Nulla da dire sull’ultimo aggettivo; molto discutibili invece le altre qualità. Chi ha qualche capello grigio ricorda come fossero questi utensili negli anni Novanta: un manico di plastica – di un unico materiale polimerico – , delle setole sintetiche, punto.
Progressi… del marketing
Il progresso tecnologico degli stampaggi a iniezione sembra aver trovato la sua apoteosi in questo oggetto, sicché da quell’epoca, spesso senza una ragione che non sia puramente marketing, questi prodotti vengono realizzati con diversi materiali, perlopiù differenti per colore ed elasticità. Tali scelte vengono motivate specialmente con supposti miglioramenti funzionali e nell’ergonomia d’uso: azione pulente, flessibilità dello stelo, impugnatura ecc.
Il fatto è che questi progressi non sempre corrispondono al vero, e che l’impiego di polimeri differenti sovente non introduce vantaggi così apprezzabili, soprattutto se si considera il “sacrificio” di risorse messe in gioco.
Perché tanto spreco?
Eh sì perché uno spazzolino da denti ha un “ciclo di vita” medio che può essere esteso al massimo a circa 90 giorni (da alcuni autorevoli punti di vista, anche un solo mese), e quindi deve poi essere sostituito… Ciò significa che questo utensile nasce già come un “rifiuto differito”. Dal punto di vista “ambientale” ci si aspetta dunque che sia fabbricato con una quantità minima di sostanza (per evitarne lo spreco), possibilmente con un unico materiale (fosse possibile, anche per le setole), cosicché sia più conveniente il suo riciclaggio, e di maggior valore il materiale che ne deriva; oppure che venga concepito in “architettura modulare”, potendone dunque disassemblare le parti (per la “dismissione differenziata”) e sostituire la sola “testina”, come alcuni produttori, tra i quali Coop, hanno fatto in passato, tentando al contempo di veicolare un messaggio ambientalmente educativo; ancora, ma non per ultima cosa, minimizzando il packaging. Per dare un’idea di quale sia l’ammontare di questo uso della materia, può bastare pensare che in un solo anno, un paese come l’Italia teoricamente consuma tanti spazzolini che, allineati tra loro, supererebbero la lunghezza della circonferenza equatoriale del pianeta; e più di un altro giro verrebbe effettuato dal loro imballaggio… Senza parlare poi dell’energia necessaria per produrli… e per “smaltirli”…
Max White Expert White: spazzolino o cosmetico?
Il colosso americano Colgate-Palmolive ha da poco messo in vendita, in seno alla linea “Max White Expert White”, con un ridondante imballaggio, un nuovo tipo di spazzolino da denti, dotato di una “penna” sbiancante, non sostituibile. Curioso è che il nome “Palmolive”, adottato dalla company dopo le prime fusioni, contiene il termine “palm”, che indica l’olio di palma come uno dei principali ingredienti all’epoca impiegati… Non vogliamo infierire sugli aspetti ambientali in introduzione posti in evidenza: il consumatore avveduto trarrà le personali valutazioni; in parziale difesa di questi tipi d’impresa, ma non per giustificarne la politica, si deve considerare anche il fatto che il mercato dell’igiene orale contrappone competitor molto agguerriti.
Concentriamoci quindi sull’oggetto in sé. Prodotto in Cina, la più evidente innovazione risiede nell’avere integrato allo spazzolino, esattamente nella cavità dell’impugnatura, detto ausilio sbiancante. Le prime deduzioni che è logico derivare sono due: l’addizione di una spiccata funzionalità cosmetica (un conto è l’igiene, altro è l’estetica); la complessità del prodotto che realizza un incremento delle problematiche già evidenziate.
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Il Max White visto in dettaglio
Lo spazzolino è stato realizzato con i criteri ai quali siamo avvezzi: manico (cavo) in “multicomponente” stampato per iniezione, con lo scopo principale di realizzare un’interfaccia “grippante” alla prensione (elastomero antiscivolo per il pollice soprattutto, e una striscia per le altre dita), un’interfaccia per l’igiene della lingua, ma soprattutto un appeal estetico; setole “sovrastampate” a flessibilità differenziata (più morbide quelle esterne che interferiscono con le gengive, dando anche una prima risposta tattile allo spazzolamento); sei setole in elastomero (dette “coppette sbiancanti”…), anch’esse in multicomponente, inserite tra quelle convenzionali, col supposto fine di lucidare lo smalto (il produttore, evidentemente focalizzato sulla comunicazione cosmetica, è un po’ disattento nello spiegare i presunti benefici igienici; quelle che apportiamo sono nostre logiche deduzioni; i testi esplicativi forniti sono insufficienti). Il solo spazzolino è stato costruito impiegando cinque materiali stampati (differenti per colore o flessibilità) e due per gli “inserti” in setola.
Tante promesse, poche spiegazioni e una dimenticanza
La penna sbiancante è un applicatore di un prodotto in gel, i cui ingredienti sarebbero simili a quelli impiegati dai medici dentisti nei loro trattamenti. L’oggetto funziona mediante un dispenser cilindrico ad azionamento rotante: il dosaggio è di due scatti di rotazione della manopolina per ogni arcata (presumiamo per i soli denti visibili, così come si intuisce dal video promozionale). Dopo il normale spazzolamento con dentifricio, si posiziona il prodotto sui denti e lo si lascia agire senza risciacquare, reintroducendo la penna in sede. Si parla di un effetto visibile nell’arco di tre settimane, e il gel dura più o meno altrettanto…
Quello che è amareggiante, leggendo più o meno tutta la promozione del prodotto (almeno quella riportata sulla confezione), è il fatto che non sia fatta menzione, anche una sola volta, a qualsivoglia attenzione per l’ambiente… al contrario leggiamo “… dotata di un cappuccio che può essere buttato…” Dove? Come? Con quale scopo? Perché?
Possibile che uno dei principali creatori di consumo (e di rifiuti) al mondo non si faccia carico di veicolare un’informazione più attenta alla natura? Tre opzioni colore, 13€ circa più spese ambientali.