L’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria ha realizzato nuovo Regolamento per disciplinare in modo specifico la comunicazione commerciale dei prodotti alimentari e delle bevande destinata ai bambini, ampliando la tutela giĂ garantita dall’art. 11 del Codice di Autodisciplina. Uno strumento che, in teoria, dovrebbe aiutare a ridurre l’esposizione dei bambini alle comunicazioni commerciali audiovisive non appropriate, che accompagnano i programmi per bambini o vi sono incluse, relative ai prodotti alimentari o bevande che contengono sostanze nutritive la cui assunzione eccessiva nella dieta generale non è raccomandata, ovvero quelli ricchi in grassi, zucchero e sale.
Ne abbiamo affidato una lettura critica a Ruggiero Francavilla, professore Associato Pediatria all’UniversitĂ degli Studi Aldo Moro di Bari e responsabile UOS Gastroenterologia ed Epatologia Pediatirca dell’Ospedale pediatrico – Giovanni XXIII, Bari. Dopo aver ricordato che le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte nei paesi industrializzati e generano un enorme peso personale ed economico a livello globale, Francavilla ha ricordato che “gli sforzi per ridurre la prevalenza di malattie cardiovascolari, obesitĂ , ipertensione, diabete mellito di tipo II e steatosi non alcoolica hanno focalizzato l’attenzione sul ruolo della dieta soprattutto alla luce dei nuovi dati che mostrano che le radici di queste malattie hanno inizio nell’infanzia”.
Oggi sappiamo – continua il professore – che un ruolo importante è giocato dagli zuccheri alimentari, in particolare quelli aggiunti agli alimenti trasformati o utilizzati nella preparazione di cibi e bevande. In parte a causa della mancanza di chiarezza e di consenso su quanto zucchero è considerato sicuro per i bambini, gli zuccheri rimangono un ingrediente comunemente aggiunto in alimenti e bevande, e il consumo complessivo da parte di bambini e adulti rimane alto. Sebbene l’assunzione di zuccheri aggiunti sia leggermente diminuita negli ultimi anni essi contribuiscono ancora a quasi il 16% delle calorie consumate quotidianamente dai bambini statunitensi.
Sul Regolamento dello Iap, Francavilla esordisce: “Avere un regolamento che possa gestire la comunicazione commerciale relativa ai prodotti alimentari e alle bevande contenenti zuccheri aggiunti per la tutela dei bambini è un passo avanti significativo; un primo passo che potrebbe essere tuttavia migliorato”.
Sbagliato limitare la fascia d’etĂ
Il primo dato da considerare – spiega – è il termine bambino che si limita a tutti coloro che hanno un’etĂ inferiore ai 12 anni, in realtĂ questo limite è assolutamente soggettivo dato che il consumo di bevande contenenti zuccheri aggiunti è sicuramente esteso a tutte le fasce d’etĂ e principalmente ai ragazzi in etĂ adolescenziale che sfuggono piĂą facilmente il controllo dei genitori e hanno piĂą capacitĂ autonoma di acquisto. Uno studio del 2017 pubblicato sulla rivista Obesity ha raccolto i dati di piĂą di 18.000 bambini tra i due e 19 anni e di 27.000 adulti sopra i 20 chiedendo quale fosse il consumo di una giornata tipo di bevande contenenti zuccheri. Questa ricerca faceva riferimento a una raccolta dati epidemiologica condotta tra il 2003 e il 2014 (studio NHANES – National Health and Nutrition Examination Survey); il dato interessante e che non c’è alcuna differenza nella percentuale di ragazzi che consumano questa tipologia di bevanda avendo come limite di etĂ i 12 anni: infatti sia nei bambini tra sei ed 11 anni che tra 12 e 19 il consumo avveniva in media nel 75% dei casi. Lo studio NHANES ha anche mostrato che è soprattutto dopo i 12 anni che aumenta in media il consumo di zuccheri raddoppiando quello secondario all’assunzione di bibite e di Energy drink che solitamente vengono assunte dopo i 12 anni. GiĂ nel 2015, l’OMS raccomandava una ridotta assunzione di zuccheri liberi sia negli adulti che nei bambini, mantenendo l’assunzione di zuccheri liberi a meno del 10% dell’apporto energetico totale (raccomandazione forte) e suggeriva un’ulteriore riduzione dell’assunzione di zuccheri liberi al di sotto del 5% dell’apporto energetico totale (raccomandazione condizionata). Ritornando alle etĂ dei bambini ed adolescenti si stima che le bibite contenenti zucchero sono bevute dal 32% dei bambini fino a 12 anni ed dal 65% dei bambini tra i 12 e 17 anni; questo sottolinea l’importanza assoluta di non limitare l’informazione al gruppo dei soli bambini al di sotto dei 12 anni.
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Importante parlare anche dei rischi
Il secondo punto che vorrei discutere – scrive il professore di Pediatria – è relativo al principio di lealtĂ . Infatti laddove viene sancito che la comunicazione commerciale dei prodotti alimentari e delle bevande destinati ai bambini deve essere onesta veritiera e corretta significa che deve includere i rischi associati al consumo di queste bevande. Infatti il regolamento prevede che tale comunicazione commerciale non deve prevedere omissioni. A questo proposito penso che sia di esempio quanto è successo per i warning associati al consumo di tabacco, da molti anni infatti negli Stati Uniti si è cercato di introdurre i warning relativi ai rischi associati al consumo di bevande contenenti zuccheri aggiunti sulle etichette dei prodotti ma tale tentativo legislativo non è mai arrivato ad essere operativo. Io ritengo – spiega Francavilla – che una corretta informazione per il consumatore di qualsiasi etĂ sui problemi associati al consumo di questi prodotti, dovrebbe spiegare che bere bevande con zuccheri aggiunti contribuisce allo sviluppo di obesitĂ , diabete e carie dentale. Tale informazione dovrebbe essere chiaramente leggibile sull’etichetta mostrando anche con immagini il significato di questa informazione. Potrebbe anche essere utile mostrare graficamente sulle lattine quanti grammi di zucchero sono contenuti; questo renderebbe piĂą facile comprendere che bere una lattina di soda corrisponde a mangiare 7 zollette di zucchero.
La pubblicità non è un contenuto editoriale
Relativamente all’ identificazione della comunicazione commerciale Francavilla spiega che sarebbe utile che disegni e personaggi legati ai minori non siano utilizzati dato che è difficile trasmettere il concetto che la comunicazione commerciale non sia equiparata al contenuto editoriale; sappiamo benissimo come i ragazzi tendono a imitare i loro beniamini e un’immagine fa molto piĂą che un asterisco che sottolinei che si tratta solo di una comunicazione commerciale con una dicitura in piccoli caratteri (sul bordo di una lattina) .
Una pubblicitĂ veritiera. Conclude il professore: “Io penso che qualsiasi informazione di tipo commerciale che non voglio tradire la sua correttezza dovrebbe mostrare nella classica pubblicitĂ un bambino felice obeso che corre verso la telecamera e fa un bel sorriso in primo piano mostrando tutti i suoi denti cariati. Questa sarebbe una corretta informazione”.