
L’indagine sugli aromi alimentari dell’Autorità francese di controllo: etichette fuorvianti, “naturale” abusato, sintetici nei bio, irregolarità diffuse e molte non conformità. Settore poco trasparente, interventi e sanzioni
Biscotti, yogurt, bevande gassate, caramelle, piatti pronti: l’industria alimentare ricorre sempre più agli aromi per costruire gusti immediatamente riconoscibili. Ma ciò che compare in etichetta non sempre racconta la verità. Un’indagine condotta dalla DGCCRF – l’autorità francese preposta al controllo dei consumi – porta alla luce un quadro fatto di irregolarità diffuse, uso disinvolto della parola “naturale”, omissioni, denominazioni fuorvianti e presenza di sostanze vietate.
Su 294 stabilimenti controllati, oltre il 20% è risultato in infrazione. Su 136 campioni analizzati, 31 sono stati giudicati non conformi: quasi uno su quattro. Un dato che conferma come il mondo degli aromi, pur regolato da precise norme europee, resti un territorio ad alto rischio di scorrettezze.
Dove finiscono gli aromi e perché contano le etichette
Gli aromi non sono ingredienti marginali. Sono molecole, estratti o miscele pensati per conferire un gusto “pulito”, stabile, riconoscibile. Dal Regolamento europeo 1334/2008 in poi, l’uso e l’etichettatura di queste sostanze è rigidamente codificato. Un aroma può chiamarsi “naturale” solo se 100% derivato da fonti naturali. E può essere definito “naturale di X” soltanto se almeno il 95% della parte aromatizzante proviene effettivamente da X. E la lista di queste sostanze è regolarmente aggiornata, anche vietando quelle riconosciute come pericolose.
Eppure, proprio sulla naturalità si concentrano molte delle irregolarità smascherate.
Diciture ambigue e ingredienti mascherati
L’indagine ha individuato numerosi casi in cui le denominazioni non rispettano la legge o rischiano di fuorviare il consumatore. Tra gli esempi citati dalla DGCCRF:
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Prodotti che dichiarano “aroma di uva” quando la legge richiede “aroma naturale di uva” oppure “aroma uva”, per evitare equivoci.
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Yogurt venduti come “vaniglia” senza specificare che il profilo aromatico deriva da un mix di aromi naturali e non da vero estratto di vaniglia.
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L’uso di aromi “alibi”, come minuscole quantità di mandorla reale integrate da concentrati di mandorla amara per simulare il gusto.
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Traduzioni ambigue come “identical-natural”, applicate a composti sintetici destinati al bubble tea.
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Ingredienti obbligatori non elencati: aromi non dichiarati, ordine degli ingredienti non conforme.
Queste omissioni non sono dettagli formali: incidono sulla capacità del consumatore di capire cosa stia realmente acquistando.
Sintetico venduto come naturale
La parte più delicata dell’indagine riguarda le analisi di laboratorio sugli aromi utilizzati nei prodotti. Qui emergono le discrepanze più gravi.
Tra le anomalie rilevate:
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Aromi sintetici presentati come naturali. In alcuni casi, aromi dichiarati “naturali di cocco” contenevano composti di sintesi non dichiarati.
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Origini geografiche fittizie. Uno sciroppo di papavero vantava fiori di Nemours, ma l’unico elemento aromatizzante era un aroma sintetico.
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Prodotti biologici non conformi. Analisi su aromi e bevande certificati BIO hanno individuato vanillina sintetica o profili aromatici incompatibili con un’origine naturale.
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Sostanze vietate negli aromi. In alcuni casi sono stati individuati coloranti o additivi proibiti, come biossido di titanio, biossido di silicio, acido citrico o ascorbico.
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Tenori non rispettati. Concentrati di vaniglia che dichiaravano un tenore del 0,35–0,45% di vanillina ma ne contenevano meno della metà.
Particolarmente critica la situazione degli aromi esotici, come cocco e mango: 5 delle 24 non conformità totali riguardano proprio prodotti dichiarati naturali ma risultati sintetici.
Bevande gassate: un settore fragile
Un intero capitolo dell’indagine è stato dedicato a limonate e bevande gassate aromatizzate. Su 34 stabilimenti controllati, 9 presentavano irregolarità.
Le non conformità includevano:
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errori di etichettatura;
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problemi di tracciabilità;
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uso non conforme di additivi o coadiuvanti tecnologici;
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pratiche commerciali ingannevoli.
Su 18 bevande prelevate, 14 non erano conformi. In una limonata dichiarata “solo limone”, le analisi hanno individuato vanillina, estranea al profilo del limone: segno evidente di aromatizzazione non dichiarata.
Anche il biologico non è immune
Dei 10 prodotti biologici controllati – tra estratti di vaniglia, aromi, bevande, yogurt, tè e infusi – 3 sono risultati non conformi. In un estratto di vaniglia BIO del Madagascar mancavano informazioni obbligatorie: presenza di acqua, classificazione della glicerina come additivo, indicazione dell’indirizzo del produttore.
Per un prodotto è stato disposto un monitoraggio ulteriore.
Ingiunzioni, avvertimenti e procedimenti penali
La DGCCRF ha emesso:
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49 ingiunzioni di messa in conformità,
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10 verbali penali,
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60 lettere di avvertimento ad altrettante aziende.
La maggior parte delle imprese ha successivamente corretto le irregolarità, che in molti casi derivavano – secondo i controllori – da scarsa conoscenza della normativa o da semplici negligenze. Ma il quadro che emerge mostra un settore in cui l’opacità è tutt’altro che episodica.
Un settore che necessita di attenzione
Con un tasso di non conformità del 23% sui campioni analizzati, l’indagine francese pone una domanda inevitabile: quanto è realmente trasparente il mondo degli aromi nell’industria alimentare? Le norme ci sono, e sono chiare. Ma la loro applicazione appare tutt’altro che uniforme.
Per chi acquista, la distinzione fra aroma naturale, aroma naturale di X e aroma di X continua a essere una giungla semantica che può facilmente trasformarsi in un inganno.
Un promemoria, per il settore, che le parole stampate in etichetta non sono un dettaglio tecnico, ma una promessa al consumatore. Troppo spesso non mantenuta.









