Perché i pomodori hanno perso il sapore di una volta?

POMODORI

Chi non si è mai fatto questa domanda? Il giornale francese 60 millions de consommateurs assieme agli esperti dell’Istituto pubblico di agricoltura mette in fila le varietà che si sono succedute da un secolo a questa parte e le conseguenze per il gusto dei pomodori

Negli ultimi decenni, il sapore dei pomodori è diventato un tema ricorrente nelle discussioni tra consumatori, esperti e produttori. In Francia, la rivista 60 Millions de Consommateurs ha tentato di dare una risposta a una convinzione ricorrente in molti consumatori, che potremmo riassumere in “Perché i pomodori non hanno più il sapore di un tempo?”, raccogliendo le opinioni di ricercatori e agricoltori e delineando un quadro complesso che coinvolge le pratiche agricole, l’industrializzazione della produzione e le aspettative dei consumatori.

Un sapore ormai lontano

Negli anni ’50, i pomodori erano coltivati quasi esclusivamente all’aperto, sfruttando le risorse naturali del terreno e del sole. Le varietà utilizzate erano quelle tradizionali, dette “antiche”, che producevano frutti caratterizzati da una grande variabilità in termini di forma, dimensioni e consistenza. Questi pomodori, sebbene vulnerabili alle malattie e soggetti a spaccarsi facilmente durante i temporali estivi, offrivano un’esperienza gustativa ricca e complessa, legata alle condizioni specifiche del territorio.

Tuttavia, con l’avvento delle tecniche di selezione e miglioramento genetico, gli agricoltori hanno iniziato a cercare varietà più resistenti e produttive. Mathilde Causse, direttrice di ricerca all’INRAE (Institut national de recherche pour l’agriculture, l’alimentation et l’environnement), spiega al giornale francese che il focus iniziale della selezione era migliorare la resistenza alle malattie, introducendo geni da specie selvatiche. Questo processo, che richiedeva oltre un decennio per sviluppare nuove varietà, segnò l’inizio di un cambiamento profondo nel panorama della coltivazione dei pomodori.

L’industrializzazione della produzione

Negli anni ’60, con l’espansione delle colture in serra e la crescente domanda di pomodori, soprattutto fuori stagione, la produzione cominciò a spostarsi verso un modello più industriale. Le nuove varietà, sviluppate per produrre frutti di forma e dimensioni omogenee, si distinguevano per la loro capacità di resistere meglio alle malattie e di garantire raccolti abbondanti. Tuttavia, il gusto passò in secondo piano rispetto alla necessità di ottimizzare la produzione.

Le prime varietà ibride F1, frutto dell’incrocio di due varietà geneticamente distinte, offrirono risultati eccezionali in termini di produttività e resistenza, ma non altrettanto in termini di sapore. Negli anni ’80, con l’aumento della produzione in serre riscaldate e il desiderio di avere pomodori disponibili tutto l’anno, si accentuò il problema. Le condizioni di coltivazione invernale, con meno ore di sole, non consentivano ai frutti di sviluppare pienamente gli zuccheri necessari per un sapore ricco.

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La selezione di varietà “uniform color”, che garantivano pomodori perfettamente rossi e uniformi, sembrò rispondere alle esigenze estetiche dei consumatori, ma a prezzo ancora una volta di sacrificare le caratteristiche di gusto. Il colletto verde, caratteristico delle varietà tradizionali e sede di una intensa attività fotosintetica, scomparve, e con esso la dolcezza e la complessità aromatica dei pomodori.

1985, la varietà Daniela: la vita a scaffale aumenta

Il colpo di grazia alla qualità gustativa dei pomodori arrivò negli anni ’80, secondo i francesi, quando la società israeliana Hazera introdusse la varietà “Daniela”. Questa varietà, caratterizzata da una mutazione genetica che ritardava la maturazione finale del frutto, permetteva ai pomodori di rimanere rossi e sodi per settimane, facilitando l’esportazione e la conservazione. Tuttavia, come osserva Mathilde Causse, la fase finale della maturazione è cruciale per lo sviluppo degli aromi del pomodoro. Di conseguenza, i pomodori Daniela, pur avendo una perfetta apparenza estetica, risultavano insipidi.

Anni 90, arriva il ciliegino

Negli anni ’90, per rispondere alla crescente richiesta di prodotti più saporiti, i selezionatori israeliani Nahum Kedar e Haim Rabinowitch introdussero la varietà di pomodoro ciliegino. Questi piccoli frutti si distinsero per la loro dolcezza e il loro aroma intenso. Come spiega Causse, il successo dei pomodori ciliegini risiede nel fatto che la loro qualità gustativa è stata un fattore centrale nella selezione delle varietà.

Nel 2014, un ulteriore passo avanti fu compiuto con la creazione della varietà “Garance”, sviluppata sotto la guida di René Damidaux all’Inrae. Questo ibrido F1, resistente a otto malattie e con una conservabilità media, offriva finalmente un compromesso tra sapore e conservazione, rispondendo così alle esigenze sia degli agricoltori biologici che dei consumatori alla ricerca di prodotti di qualità.

Le differenze? Spesso sono solo estetiche

Mathilde Causse sottolinea come oggi nei supermercati sia possibile trovare una maggiore varietà di pomodori, da quelli costoluti ai ciliegini, dai grappoli ai frutti di diversi colori. Tuttavia, questa diversificazione è stata per lo più estetica, lasciando in secondo piano la qualità organolettica, ovvero l’odore e il gusto dei frutti.

Un problema ulteriore è rappresentato dalla conservazione dei pomodori. Circa la metà dei consumatori tende a conservare i pomodori in frigorifero, ignorando che temperature inferiori ai 12°C compromettono irrimediabilmente il loro aroma. Anche quando i pomodori vengono riportati a temperatura ambiente, l’aroma si recupera solo parzialmente. Questo problema si aggrava considerando che molti pomodori, prima di arrivare sugli scaffali, vengono refrigerati durante il trasporto.

La Label Rouge francese

Per i consumatori francesi, un po’ di speranza arriva dalla certificazione Label Rouge, che garantisce una qualità superiore rispetto ai prodotti attuali. Questa certificazione, nata dalla nozione di “terroir” (il particolare insieme di condizioni geografiche e climatiche di un luogo), attesta che i prodotti sono di qualità superiore grazie a specifiche caratteristiche sensoriali, verificate attraverso rigorosi test organolettici. Il Label Rouge, applicato ai pomodori, potrebbe finalmente restituire ai consumatori il gusto autentico e ricco dei frutti di una volta, distinguendoli nettamente dai prodotti standardizzati attualmente disponibili sugli scaffali.