La dissalazione come risposta alla siccità: come si ottiene acqua potabile dal mare

SICCITA DISSALAZIONE

La siccità è un problema reale, motivo per il quale ormai da diversi anni si sta guardando ai dissalatori di acqua di mare come soluzioni per ovviare al problema. Ma come funzionano?

Gli ultimi due anni hanno registrato una fortissima siccità e l’estate che si prospetta sarà ancora peggio. Oggi si è riunito il Consiglio dei ministri proprio per varare il decreto Siccità che prevede, oltre alla nomina del commissario straordinario, una serie di provvedimenti per garantire l’approvvigionamento idrico.

Tra questi il governo sta pensando di muoversi verso un aumento degli impianti di desalinizzazione dell’acqua marina. Il processo è ormai attuato in 183 paesi, con quasi 16mila impianti attivi o in fase di costruzione. La stragrande maggioranza di questi impianti si trova in Medio Oriente; in Europa, invece, si trovano principalmente nei paesi Mediterranei, come la Spagna. Esistono, ovviamente, delle criticità: i consumi energetici elevatissimi da combustibili fossili, gli impatti ambientali della salamoia tossica e i costi d’implementazione.

I dissalatori: quanti tipi e come funzionano

Esistono diversi sistemi di desalinizzazione dell’acqua marina, che possono essere inclusi in tre famiglie principali:

  • dissalatori a evaporazione;
  • dissalatori a permeazione o a osmosi inversa;
  • dissalatori per scambio ionico.

I primi, quelli a evaporazione, funzionano per riscaldamento dell’acqua al fine di ottenere acqua distillata. In basso rimane quindi il sale e gli scarti, mentre l’acqua evaporata viene convogliata in un altro impianto e raffreddata. Questo tipo di metodo produce mediamente da due a quattro volte più salamoia per metro cubo di acqua pulita, rispetto a impianti che utilizzano altri metodi per la desalinizzazione di acqua di mare.

I sistemi a osmosi inversa sono invece impianti ad alta efficienza energetica: permettono il passaggio dell’acqua di mare attraverso dei filtri che la rendono potabile. La pressione a cui l’acqua deve passare è compresa tra i 55 e i 70 bar, in modo che sia superiore alla pressione osmotica. Il processo è infatti l’opposto dell’osmosi: in questo modo il fluido con maggiore concentrazione di soluto è costretto ad attraversare la membrana semipermeabile. Quest’ultima è fatta in modo da separare il soluto (il sale) dal fluido (l’acqua), rendendo quest’ultima a tutti gli effetti potabile e priva di sale. Le membrane osmotiche sono anche in grado di trattenere le micro-particelle contenute nell’acqua, come batteri e microplastiche, rendendola di fatto molto sicura da bere. Attualmente, secondo i dati riportati da Wikipedia, in Spagna il 56% dell’acqua dolce viene prodotta proprio tramite dissalatori ad osmosi inversa.

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La dissalazione per scambio ionico avviene invece tramite rimozione di ioni sodio e cloruro. In un solo passaggio si ottiene quindi un’acqua fortemente dissalata, con purezza molto elevata.

Esistono anche impianti che combinano fra loro due tra queste tecniche di desalinizzazione.

Quanto costa dissalare l’acqua del mare

In quanto ai costi, pare che per un metro cubo si parli di circa 2-3 euro. Il costo degli impianti è invece variabile, e dipende da numerosi fattori. Basta pensare che per la realizzazione dell’impianto di desalinizzazione di Dubai, uno tra i più grandi al mondo, sono occorsi circa 3,5 miliardi di euro. I maggiori impianti di desalinizzazione attualmente presenti al mondo si trovano in Arabia Saudita e nei paesi del Golfo. Per quanto riguarda l’Italia, sono presenti alcuni dissalatori nelle isole che consentono solo lo 0,1% dei prelievi idrici complessivi. Un dissalatore è stato installato anche in Veneto, in seguito alla riduzione delle fertilità dei terreni, dei danni alle infrastrutture e della perdita delle colture ittiche in segui alla risalita del cuneo salino arrivato a 30 km dal delta del fiume Po. A Taglio di Po, in provincia di Rovigo, è stato quindi installato un dissalatore proveniente dalla Spagna.

Quanta acqua prodotta?

I numeri sono sorprendenti. Uno studio commissionato dall’Onu rivela che la capacità di produzione di acqua dolce è pari a circa 95 milioni di metri cubi al giorno. Ed è sufficiente? Se ci riferisce a quanto riportato con una stima del 1995 dalla Fao, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, si aggira intorno ai 628 metri cubi l’anno di acqua pro capite il fabbisogno da destinare ad agricoltura, industria e usi civili e domestici.

Pericolosi per l’ambiente?

Se è vero che i dissalatori sono ormai divenuti indispensabili per contrastare l’emergenza siccità, vero è altrettanto che producono scorie pericolose per l’ambiente. Il rischio è, quindi, di incorrere in una nuova catastrofe ambientale. Lo stesso studio commissionato dall’Onu nel 2018 ha evidenziato come per ogni litro di acqua desalinizzata ci sia un residuo di 1,5 litri di salamoia, a concentrazione variabile, in funzione della salinità dell’acqua di partenza. Questo significa che, a livello globale, per 95 milioni di metri cubi di acqua dolce prodotti gli impianti producono anche 142 milioni di metri cubi di salamoia ipersalina ogni giorno. Questa melma ipersalina è ricca di anti-incrostanti, metalli e cloruri vari: questa composizione la rende in tutto e per tutto paragonabile a certe scorie industriali pericolose. Ciò induce a scegliere processi di smaltimento ad hoc, processi che si rivelano molto costosi, arrivando a rappresentare fino al 33% dei costi operativi degli impianti. Questa è la ragione per cui la maggior parte della salamoia finisce negli oceani, nelle acque superficiali e negli impianti di smaltimento delle acque reflue. La più logica conseguenza è che la salamoia smaltita in mare ne altera la salinità, compromettendo l’ambiente marino. Edward Jones, ricercatore dello studio citato, ha specificato che l’elevata salinità dell’acqua produce una riduzione nel suo livello di ossigeno, con conseguenze impatto sull’habitat degli organismi bentonici ed effetti osservabili lungo tutta la catena alimentare. Queste acque reflue, se non adeguatamente diluite, creano delle vere e proprie dead zone in cui è quasi impossibile che riescano a vivere animali marini.

Altro punto critico riguarda la significativa quantità di combustibili fossili spesso necessari per alimentare i dissalatori, per definizione energivori. Un impianto, in media, richiede infatti da 10 a 13 kw/h di energia per circa 3.700 litri di acqua lavorati. Ne consegue che i costi economici e ambientali del ricorso alle fonti fossili hanno spinto i ricercatori a cercare alternative, incluso lo sviluppo di membrane di separazione più efficienti e unità di desalinizzazione che possano essere alimentate dall’energia solare. Molto promettente è sicuramente la tecnologia di desalinizzazione a energia solare autonoma, che non richiedere batterie. Altro modo per ridurre il consumo di energia è quello di utilizzare specifici sistemi da integrare nei dissalatori, muniti di pompe a bassa pressione ma con rendimenti energetici elevati.

Altri usi della salamoia

Recenti studi hanno però indagato anche eventuali altri utilizzi della salamoia. Lo stesso studio dell’Onu aveva specificato che esistono diverse opportunità economiche per la salamoia, che ad esempio potrebbe essere utilizzata per irrigare specie tolleranti al sale e in acquacoltura. Dalla melma si potrebbero recuperare anche sali, metalli e altri elementi in percentuali significative, come magnesio, gesso, cloruro di sodio etc. L’ultimo decennio in generale ha visto un sempre crescente interesse accademico per il recupero dei minerali contenuti nella salamoia; sebbene sia possibile estrarli, spesso sono stati i costi elevati ad limitare l’applicabilità dell’opzione.

Secondo quanto riportato da un altro dei ricercatori dello studio, Manzoor Qadir, l’uso di acqua salina ha inoltre dimostrato notevoli vantaggi commerciali, sociali e ambientali. Lo studioso ha infatti affermato che, quando utilizzata in agricoltura, ha portato ad un aumento della biomassa del 300 per cento. Pare che la salamoia abbia avuto successo anche nella coltivazione dell’alga spirulina e per irrigare arbusti di foraggio.

Contro la siccità: le soluzioni adottate in Italia

Un passo in Italia in avanti è stato fatto a giugno del 2022, quando il governo Draghi ha messo in campo 900 milioni di euro per le prime misure di contrasto alla siccità. La risposta è stata il seguito di un appello di diverse associazioni, quali Legambiente, Cai, Cirf, Wwf Italia e altre: le associazioni hanno ribadito quali fossero, per loro, i sette interventi chiave su cui era necessario lavorare. Il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) varato appunto dal governo Draghi ha quindi stanziato questi fondi per la riduzione delle perdite delle reti idriche e per rendere più efficiente la gestione dell’acqua. Il paese è certamente un po’ indietro. Basta pensare che, secondo l’Istat, nel 2018 veniva disperso circa il 42% dell’acqua trasportata dalla rete di distribuzione, probabilmente a causa del patrimonio idraulico obsoleto. Chiaramente la dissalazione sarebbe la risposta migliore contro la siccità, per diverse ragioni. In primo luogo perché si tratta di una tecnologia economicamente competitiva, considerando che il trasporto di acqua via nave richiede circa 13-14 euro al metro cubo, contro i 2-3 euro al metro cubo dell’acqua dissalata. Esiste però un ottimo esempio sul riutilizzo dell’acqua dei depuratori per fini industriali, in Italia, e proviene da Prato. Il consorzio di depurazione Gida eroga 4 milioni di metri cubi d’acqua depurata al comparto industriale: le 250 aziende del “Progetto acqua”, di conseguenza, utilizzano acqua riciclata per la loro attività.