Il prezzo del grano diminuisce ma quello della pasta aumenta: le vere cause dello squilibrio

pasta

Monta la polemica sui prezzi della pasta. I numeri dell’osservatorio del ministero del Made in Italy raccontando di aumenti alla cassa a fronte di una diminuzione del costo del grano. Già a gennaio, il Salvagente, aveva previsto quello che sarebbe successo, grazie all’aiuto di un operatore del settore.

Monta la polemica sui prezzi della pasta. I numeri dell’osservatorio del ministero del Made in Italy raccontando di aumenti alla cassa a fronte di una diminuzione del costo del grano. Già a gennaio, il Salvagente, aveva previsto quello che sarebbe successo, grazie all’aiuto di un operatore del settore.

I numeri

Partiamo dai dati: secondo l’Osservatorio dei prezzi del Ministro del Made in Italy, i prezzi della pasta oggi variano dai 2,3 euro al chilo di Milano ai 2,2 euro di Roma, dai 1,85 di Napoli ai 1,49 euro al chilo di Palermo. mentre le quotazioni del grano si aggirano in tutta Italia sui 38 centesimi di euro al chilo.

Di speculazione parla esplicitamente Coldiretti: ““La pasta è ottenuta direttamente dalla lavorazione del grano con l’aggiunta della sola acqua e non trovano dunque alcuna giustificazione le divergenze registrate nelle quotazioni, con la forbice dei prezzi che si allarga e mette a rischio i bilanci dei consumatori e quelli degli agricoltori”. I dati Istat parlano di un aumento “del 18% del prezzo della pasta nell’ultimo anno” mentre però il grano per produrla, “Viene pagato agli agricoltori il 30% in meno nello stesso periodo”. E tutto questo mentre “la crescita tendenziale dei prezzi dei beni alimentari risulta “stabile in media al +12,9%”.

Per Coldiretti si tratta di “una anomalia di mercato sulla quale occorre indagare, anche sulla base della nuova normativa sulle pratiche sleali a tutela delle 200mila imprese agricole che coltivano grano. I ricavi non coprono infatti i costi sostenuti dalle imprese agricole e mettono a rischio le semine ma anche la sovranità alimentare del Paese”. “In Italia – aggiunge Coldiretti – siamo di fronte a manovre speculative con un deciso aumento delle importazioni di grano duro dal Canada dove il grano viene coltivato secondo standard non consentiti in Europa per uso del glifosate nella fase di preraccolta. Occorre invece ridurre la dipendenza dall’estero e lavorare da subito per accordi di filiera tra imprese agricole e industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali. Bisogna riattivare da subito la Commissione unica nazionale per il grano duro, la cui attività in via sperimentale si è sospesa nell’ottobre del 2022, perché fornisce trasparenza al mercato e da la possibilità di poter mettere attorno ad un tavolo tutti gli attori della filiera eliminando le distorsioni e i frazionamenti delle borse merci locali”.

Da cosa nasce lo squilibrio

Il Salvagente, in un certo senso, lo aveva previsto già nel numero di gennaio 2023, dove invitava i lettori a segnarsi questa data: “tra aprile e la fine di maggio”. “È questo il periodo nel quale i silos del grano duro a livello mondiale potrebbero rimanere definitivamente vuoti”, avevamo scritto, “una probabilità che potrebbe innescare una seconda spinta inflazionistica sul bene simbolo del made in Italy: la pasta”. Il perché ce lo aveva spiegato Giuseppe Ferro, amministratore delegato de La Molisana, che in dieci anni ha portato il gruppo di Campobasso a raggiungere l’8% del mercato italiano con trend di crescita invidiati dalla concorrenza: “In questi mesi per effetto della crisi produttiva canadese, le quotazioni del grano sono letteralmente raddoppiate e questo si è riflesso sui prezzi al consumo con un aumento medio al chilo di 40-45 centesimi. Il Canada – proseguiva Ferro – primo produttore al mondo, coltiva mediamente 6,5 milioni di tonnellate di frumento duro, nella campagna scorsa invece, a causa degli incendi e della persistente siccità, è crollata a 3,5 milioni. Le scorte a livello mondiale sono pari a 1,5 milioni, quindi nei silos manca esattamente lo stesso quantitativo. Temo che nel bimestre prima della nuova raccolta (che comincia a giugno, ndr) non avremo grano a sufficienza per fare la pasta”.

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A quanto ammonta l’aumento pro capite

Stretta nella morsa dell’impennata delle quotazioni e della possibile mancanza della materia prima, la pasta insomma rischia di restare sotto lo scacco dei rincari ancora per molti mesi. “Vorrei anche ridimensionare l’allarme sugli aumenti – aggiunge Ferro – perché, se come spero a settembre prossimo la produzione tornerà su buoni livelli, stiamo parlando di un aumento di 7 euro a persona. Però mi rendo conto che questa è una cifra che si somma ad altri, tanti, rincari che pesano tutti sui bilanci familiari. E quindi non si può che essere preoccupati”.

A proposito della corsa dei prezzi, Ferro a gennaio spiegava: Fino a 6 mesi fa il grano nazionale costava 270-285 euro alla tonnellata. Oggi siamo arrivati a 580-600 euro: subiamo un aumento di oltre il 100% che in proporzione si riflette pure sulla semola. Sul frumento duro estero le percentuali sono le stesse”. L’escalation inflattiva derivava dall’estero e si è riflessa sull’andamento del mercato italiano.

Le altre cause dei rincari

Premesso che il prezzo al consumo lo decide la Grande distribuzione, a gennaio l’aumento sul chilo di pasta è nell’ordine di 40-45 centesimi. Mediamente si è passati da 1,10 euro di giugno a 1,50 di novembre con punte di 1,70 euro. “Mi auguro che a settembre 2023, con la nuova raccolta nel Nord America, potremmo superare il problema e contare su quantitativi che ci consentano di tornare alla normalità. Ho quasi visto che concimi, semi e carburante costano di più. Forse ci vorranno due stagioni granarie positive per tornare alla normalità”, commentava Ferro, che spiegava anche come, oltre alla materia prima, il pacco di pasta è influenzato da altri rincari: “L’unica parola che conosciamo in questo momento è aumento. Dal packaging, che sia in carta o cellophane, al costo dell’energia, dal gas  fino ai trasporti per non parlare del legno e dei pallet. Stiamo facendo di tutto per contenere gli aumenti ma è davvero dura. Vorrei però tranquillizzare i consumatori: non stiamo parlando di cifre astronomiche”. In media ogni italiano consuma 23 chili di pasta all’anno. Prendiamo per comodità 0,40 euro di aumento: sono 9,20 euro in dodici mesi. A settembre prossimo il consumatore dovrebbe aver pagato 6,90 euro in più. Ecco questo è l’impatto che rischia di subire: non esagerato.