Che cos’è e come funziona il periodo di prova: le differenze tra il contratto di lavoro a tempo determinato e quello indeterminato. I casi di nullità e le condizioni di applicabilità previste dalla legge. Le ultime pronunce della Corte di Cassazione.
Quando un datore di lavoro assume un dipendente ha il diritto di proporre a quest’ultimo un periodo di prova, prodromo all’inizio dell’attività lavorativa vera e propria. Nel corso della prova il datore valuterà le effettive competenze e capacità del dipendente e, qualora queste dovessero risultare insufficienti, avrà la facoltà di non procedere all’assunzione. Nel svolgere tale operazione chi dà lavoro non è chiamato a giustificare le proprie ragioni in quanto dipendenti dal suo insindacabile giudizio. Nemmeno un giudice, chiamato in causa da chi dopo il periodo di prova non viene assunto, può entrare nel merito della decisione presa dal datore di lavoro. La legge, tuttavia, impone alcune condizioni che devono essere obbligatoriamente rispettate dal datore di lavoro nel corso del periodo di prova. Al venire meno delle stesse, il patto preso tra le parti viene considerato nullo e il dipendente assume, in automatico, il diritto all’assunzione a tempo indeterminato.
Il periodo di prova: cos’è e come funziona
Prima di entrare nello specifico delle condizioni previste dalla legge per i periodi prova è necessario chiarire che cosa si intende con questa espressione e quali sono le sue caratteristiche. Con periodo di prova, nello specifico, si fa riferimento a quell’arco di tempo, previsto dal contratto di lavoro, in cui si cerca di appurare la convenienza del rapporto per entrambe le parti che l’hanno firmato. Nel corso di questa fase sono validi gli stessi diritti e doveri del contratto di assunzione firmato, ciò che muta è solo il fatto che il rapporto può essere terminato in tronco, ovvero senza preavviso e senza la necessità di una giusta causa. È necessario sottolineare inoltre che, al termine del periodo, entrambe le parti potranno decidere di tirarsi indietro, mentre se la loro espressa volontà è quella di mantenere la collaborazione, non ci sarà bisogno di nessun’altra comunicazione scritta diversa dal contratto in precedenza firmato. Tale aspetto è valido in quanto, così stabilito dalla legge, il periodo di prova decade in automatico al termine del periodo stabilito. Quest’ultimo, a livello generico, deve rientrare all’interno di limiti ben specifici, ovvero:
- 6 mesi, nel caso in cui il lavoratore non svolge un ruolo direttivo;
- 3 mesi, se si tratta di personale di livello dirigenziale.
Va comunque precisato che il periodo di prova può essere ridotto o prolungato, ma è necessario che questo avvenga in accordo con lo specifico contratto collettivo nazionale del lavoro.
Affinché possa verificarsi un periodo di prova è necessario che nel contratto di assunzione del dipendente venga fatto esplicito riferimento al patto di prova. Si tratta di un clausola che deve essere sottoscritta da entrambe le parti in maniera preventiva rispetto all’inizio del contratto, ciò vuol dire che non potrà essere inserita in un secondo momento. In quest’ultimo caso, infatti, il patto non avrebbe nessun valore legale e, in presenza di licenziamento o dimissioni, si dovranno rispettare tutte le disposizioni previste nel contratto di lavoro.
Per quel che riguarda i diritti e i doveri del datore di lavoro e del dipendente nel corso del periodo di prova, questi, come detto, devono coincidere con quelli che si avrebbero in presenza di ogni altro rapporto di lavoro che intercorre con chi svolge le stesse mansioni ed ha già superato il periodo di prova. Se ne deduce che nella fase di prova il lavoratore ha diritto alla stessa retribuzione e alle stesse condizioni di lavoro. Uguale è il discorso per ciò che riguarda:
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- i versamenti contributivi;
- i versamenti fiscali;
- il conteggio del trattamento di fine rapporto;
- il conteggio dei giorni di ferie.
Si sottolinea inoltre che, di norma, nel corso del periodo di prova non può essere richiesto dal lavoratore il congedo matrimoniale e che alcune specifiche possono variare al mutare del tipo di contratto collettivo nazionale di riferimento.
Il licenziamento durante il periodo di prova
Così come si diceva in apertura, il datore di lavoro nel corso del periodo di prova ha la facoltà di interrompere in tronco il rapporto di lavoro, senza dover fornire giustificazioni o avere una giusta causa. Stesso discorso vale anche per il dipendente che potrà infatti dimettersi come e quando lo ritiene opportuno. Ci sono tuttavia dei casi in cui il licenziamento nel corso del periodo di prova è da considerarsi illegittimo, ovvero delle situazioni in cui l’azienda non potrà rescindere il contratto in maniera unilaterale. Entrando più nello specifico, il datore ha l’obbligo di mettere il dipendente nelle condizioni idonee per lavorare. Questo vuol dire che l’azienda ha l’obbligo di assegnare dei compiti al neoassunto che siano in linea con le capacità professionali per le quali è stato scelto. Solo in questo modo, infatti, per la legge il dipendente in prova potrà dimostrare le proprie capacità e confrontarsi con i livelli standard di performance richiesti dall’azienda. Se così non fosse e l’azienda dovesse provvedere a non confermare il dipendente al termine dell’arco temporale di prova, il licenziamento potrebbe essere considerato illegittimo. Altro caso in un non è previsto l’annullamento del contratto di lavoro sfruttando le metodologie tipiche del periodo di prova, è quello in cui la decisione del datore di lavoro si basi su motivi illeciti. Si tratta di motivazioni di carattere discriminatorio o di quelle non del tutto inerenti ad aspetti meramente professionali. In presenza delle fattispecie indicate, la parte lesa del licenziamento durante il periodo di prova, cioè il dipendente, potrà ottenere un risarcimento del danno, ma solo se riuscirà a dimostrare la presenza di irregolarità.
Periodo di prova nei contratti a tempo determinato e indeterminato
La struttura e il meccanismo che regola il periodo di prova muta a seconda che si sia in presenza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o determinato. In quest’ultimo caso, infatti, la legge prevede che il periodo di prova non sia inferiore ad un giorno lavorativo e superiore ad un quindicesimo del tempo totale di assunzione previsto. Entrando più nel dettaglio, i termini previsti sono:
- di 11 giorni nei rapporti lavorativi della durata inferiore a 6 mesi;
- di 13 giorni nei rapporti lavorativi della durata superiore a 6 mesi;
Si sottolinea inoltre che, in presenza di contratti di lavoro a tempo determinato, si potranno sfruttare più periodi di prova anche con la stessa azienda, purché però il ruolo assunto risulti essere differente e che non sia stato già esercitato dal lavoratore nello stesso anno solare.
Lo scenario varia, invece, in presenza di contratti di lavoro a tempo indeterminato. In questi casi, infatti, la durata del periodo di prova varia in base al tipo di professionalità impiegata. Entrando più nel dettaglio, la prova potrà durare:
- fino a 6 mesi di calendario se il dipendente è chiamato a svolgere delle funzioni di natura dirigenziale;
- fino a 50 giorni lavorativi se il dipendente è chiamato a svolgere le funzioni di impiegato e operaio specializzato con autonomia operativa, ma senza incarichi decisionali;
- fino a 30 giorni lavorativi per impiegati e operai qualificati, ma senza autonomia operativa né incarichi decisionali.
Si sottolinea inoltre che se un contratto di lavoro a tempo determinato viene successivamente trasformato in uno a tempo indeterminato, la legge non prevede la possibilità che venga concordato un altro periodo di prova con il dipendente.
L’ammissibilità del patto di prova
Apprese le caratteristiche e le tempistiche previste per il periodo di prova, veniamo ora alle condizioni di ammissibilità del patto siglato tra dipendente e datore. La legge è molto chiara in tal senso e prevede che, ai fini della regolarità della prova, è necessario:
- che vi sia un accordo scritto, con la specifica e già citata clausola di patto di prova ben inserita nel contratto. Un esempio di dicitura da riportare è la seguente: “Il dipendente sarà assunto con un periodo di prova di X mesi”.
- che venga corrisposta una retribuzione al lavoratore che, dunque, dovrà essere trattato come tutti gli altri lavoratori dell’azienda che svolgono la sua stessa mansione e hanno superato il periodo di prova. Il punto di riferimento, in tal caso, sono sempre gli specifici contratti collettivi nazionali: in alcuni, ad esempio, è previsto che nel periodo di prova il lavoratore percepisca l’80% del normale salario;
- che vi sia il rispetto degli obblighi reciproci da parte del datore di lavoro e del dipendente. Entrambi, più nello specifico, devono consentire e svolgere il periodo di prova nel rispetto degli accordi presi. Ecco dunque che il datore di lavoro dovrà offrire tutte le risorse e le opportunità necessarie al dipendente per dimostrare le proprie abilità e la propria compatibilità con l’ambiente di lavoro;
- che vi sia sempre la possibilità di recesso, adoperabile da entrambe le parti. Sia datore che dipendente, dunque, devono poter recedere il contratto in qualsiasi momento del periodo di prova senza preavviso, indennità o motivazioni. Va precisato tuttavia che, sempre più tipologie contrattuali, prevedono la presenza di un periodo minimo all’interno del quale entrambe le parti non possono interrompere l’accordo;
- che, al termine della prova completata con successo e senza la comunicazione del licenziamento da parte del datore, vi sia l’assunzione definitiva secondo le condizioni previste dal contratto di lavoro. In questi casi, inoltre, il periodo di prova viene conteggiato nell’anzianità di servizio del lavoratore;
- che l’attività che dovrà essere svolta dal dipendente in prova sia chiara e ben specifica nel contratto di lavoro sottoscritto. Questo vuol dire che dovrà essere quanto più dettagliata possibile e, in nessun modo, generica. È inoltre necessario che il lavoratore in prova eserciti, nel corso del periodo, le mansioni per cui è stato assunto. Solo in questo caso, infatti, potrà essere correttamente giudicato dal datore di lavoro;
- che vi sia l’assenza di precedenti periodi di prova intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e il lavoratore per la medesima mansione. Alcune eccezioni, tuttavia, si ravvedono nei già indicati contratti a tempo determinato.
Il diritto all’assunzione obbligatoria
Nel momento in cui il patto di prova viene considerato nullo, per l’assenza di una delle condizioni sopra indicate, il dipendente leso ha diritto all’assunzione obbligatoria a tempo indeterminato e full time. Perché questo avvenga, tuttavia, è necessario che il dipendente impugni il suo ingiusto licenziamento e gli venga data la ragione da parte di un giudice. Se il licenziamento viene considerato nullo, il dipendente ha diritto:
- alla reintegrazione sul posto di lavoro;
- al risarcimento del danno che sarà pari a tutte le retribuzioni non percepite dal recesso fino alla ripresa del lavoro.
Come facilmente intuibile, il lavoratore dovrà riuscire a portare delle prove a sostegno della propria causa e, a livello numerico, i casi in cui maggiormente si riesce a farlo è quello in cui al dipendente vengano fatte svolgere nel periodo di prova delle mansioni diverse rispetto a quelle per le quali era stato assunto. Sul tema è intervenuta anche la Corte di Cassazione sottolineando che il patto di prova deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto e “può genericamente risicare al contratto collettivo nazionale di lavoro solo se il richiamo sia sufficientemente specifico”, così la sentenza della Suprema Corte n. 1099/2022. Ecco dunque che se nel Ccnl ci sono più profili per lo stesso livello, sarà necessario indicare con estrema precisione qual è quello a cui il contratto del lavoratore fa riferimento. Si tratta, per la Cassazione, di un presupposto indispensabile per permettere al datore di lavoro di esprimere un giudizio sulle capacità del lavoratore all’esito della prova.