Cosa c’è dietro l’amarognolo e il piccantino dell’extravergine

FRITTURA OLIO EXTRAVERGINE

Il sapore amarognolo e piccantino dell’olio extravergine di oliva indica, tra l’altro, la presenza di idrossitiroloso, un polifenolo che sembra avere una potenzialità nella prevenzione dell’Alzheimer.

 

L’olio d’oliva contiene polifenoli, oramai lo sappiamo, ma c’è una caratteristica che lo rende speciale, ed è percepibile al palato. È quella nota piccante e amarognola che rende gli olii migliori, e in molti frantoi d’Italia è una peculiarità tra le più ricercate. Ma cosa denota quel gusto amaro e acceso? Gli esperti nutrizionisti come quelli dell’Irccs Humanitas lo individuano nella presenza di idrossitirosolo. Questo composto chimico vegetale, infatti, è ritenuto tra i responsabili delle proprietà benefiche della dieta mediterranea, ed è un indicatore di qualità. Insieme ad altre sostanze, costituisce i cosiddetti “polifenoli da olivo“, ed è presente nell’olio di oliva sotto forma del suo estere con l’acido elenolico, detta anche oleuropeina.

Gli antiossidanti si trovano proprio in queste molecole organiche naturali. Insieme con l’oleocantale conferiscono il tono leggermente amaro e piccante all’olio extravergine di oliva (Evo).

 

A cosa serve l’idrossitirosolo

Questo composto, assieme ai polifenoli da olivo, rappresenta una di quelle sostanze rientranti nel documento redatto dal ministero della Salute “Altri nutrienti e altre sostanze ad effetto nutritivo o fisiologico” e in particolare nell’elenco “Altre sostanze senza apporto massimo giornaliero definito”. Sono inseriti negli integratori, perché si ritiene agiscano da potenti antiossidanti.

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In particolare, l’idrossitirosolo e i polifenoli da olivo sarebbero in grado di contribuire alla protezione dei lipidi presenti nel sangue, dagli effetti nocivi procurati dallo stress ossidativo. Questi benefici sono stati riconosciuti anche dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) i cui esperti precisano che questa indicazione può essere autorizzata solo per gli oli di oliva che contengono almeno 5 mg di idrossitirosolo e suoi derivati (ad esempio oleuropeina e tirosolo) ogni 20 grammi di prodotto.

La massima autorità europea alimentare sottolinea inoltre che l’effetto benefico antiossidante si ottiene con l’assunzione giornaliera di 20 grammi di olio di oliva.

 

Perché questo polifenolo fa bene

Il composto è classificato come fitochimico esprimente fortissime proprietà antiossidanti. Gli studi recenti hanno certificato che l’indice Orac (Oxygen Radical Absorbance Capacity), ovvero la capacità di assorbimento dell’ossigeno radicalico, è pari a 40.000 µmolTE (micromole per litro), circa dieci volte maggiore rispetto al tè verde e almeno due volte rispetto al coenzima CoQ10, ossia l’ubidecarenone, una molecola del gruppo degli ubichinoni, che sono benzochinoni liposolubili implicati nel trasporto degli elettroni nei mitocondri e nella fosforilazione ossidativa cellulare.

In natura, si ritrova in alte concentrazioni nell’acqua di vegetazione delle olive e in concentrazioni minori anche nelle foglie di olivo, utilizzate anche per impieghi medicali con proprietà immunostimolanti e antibiotiche (https://www.freepatentsonline.com/y2003/0236202.html).

Lo ritroviamo nell’olio di oliva nella forma di oleuropeina, che è il suo estere con l’acido elenolico. Dopo la degradazione è presente nella sua forma libera.

Nella sua forma pura è un liquido incolore e inodore. Le olive, le foglie e la polpa del frutto contengono quantità molto più elevate di questo composto, rispetto all’olio di oliva, la maggior parte del quale può essere recuperato per produrre degli estratti per integratori o sostanze da erboristeria.

Gli studi hanno dimostrato che è un inibitore della monoamminoossidasi (Maoi). In particolare, funziona come un potente inibitore della monoamminoossidasi B.

 

A cosa serve

Durante la vita di un organismo, le cellule in tutti i sistemi biologici sono esposte all’ossidazione. Questa reazione porta alla formazione di radicali liberi, composti che contengono uno o più elettroni spaiati. Questi reagiscono facilmente con altre molecole nella cellula e durante la vita il continuo attacco dei radicali liberi può alterare i meccanismi cellulari e, infine, può portare alla morte cellulare.

Gli antiossidanti riducono e contrastano lo stress ossidativo. Tuttavia, il cervello è particolarmente vulnerabile allo stress ossidativo per diversi motivi. Innanzitutto, a causa del suo elevato fabbisogno energetico, dato che consuma il 20% di tutto l’ossigeno utilizzato. Questo fabbisogno porta alla produzione di Ros (specie reattive dell’ossigeno) costringendo questo organo a generarne elevate quantità. Inoltre, gli aminoacidi eccitatori (ad esempio il glutammato) generano alti livelli di Ros durante il loro massiccio rilascio dopo una lesione cerebrale.

Il glutatione è il principale antiossidante nel cervello. Dopo i 30 anni, la concentrazione di questa sostanza nel cervello umano diminuisce. Pertanto, si ritiene che durante l’invecchiamento lo stress ossidativo diventi più abbondante.

Inoltre, a causa della barriera ematoencefalica, molti antiossidanti alimentari (come la vitamina C, i carotenoidi e i flavonoidi) non sono in grado di entrare nel cervello.

Si ritiene che alcune malattie del cervello e del sistema nervoso implichino processi di radicali liberi e danni ossidativi, sia come causa primaria che come conseguenza della malattia. Esempi di malattie cerebrali in cui lo stress ossidativo gioca un ruolo importante sono il morbo di Alzheimer, la disfunzione cognitiva (perdita di memoria) e il morbo di Parkinson.

Per il trattamento e la prevenzione di queste malattie, potrebbero essere utili gli antiossidanti, soprattutto in forma alimentare. Purtroppo non tutti sono in grado di oltrepassare la barriera ematoencefalica, pertanto c’è bisogno di antiossidanti che penetrino questa barriera biologica. Alcuni, come quelli contenuti nell’olio extravergine di oliva, risultano più efficaci, e in grado di:

·       Entrare nel cervello in quantità sufficiente;

·       Essere atossici;

·       Oltrepassare la barriera ematoencefalica.

Il polifenolo da olivo sarebbe in grado di combinare questi requisiti per contrastare le malattie neurodegenerative.

Possiede anche il vantaggio di essere un prodotto naturale isolato dalle olive, processo che lo rende facilmente estraibile e utilizzabile come integratore alimentare o in preparazioni farmaceutiche.

Infine, è liposolubile ed è anche un metabolita del neurotrasmettitore dopamina.

In sintesi, l’idrossitirosolo è dotato di capacità pro-neurogeniche, ma, a differenza di molti altri stimoli neurogenici (ad esempio, esercizio fisico, antidepressivi ecc.) ha la capacità unica di attivare le cellule staminali. Almeno questo emerge dagli esperimenti sui topi anziani.

Le ricerche sulla demenza

La malattia di Alzheimer è la forma di demenza più comune nella popolazione al di sopra dei 65 anni. Come possiamo intuire è possibile contrastarla con abitudini alimentari e comportamenti sani, ma le cause della malattia non sono del tutto chiare. Sembrano piuttosto legate all’alterazione del metabolismo del peptide beta-amiloide (Aβ), che si accumula sotto forma di aggregati nel cervello dei pazienti.

Recentemente è emerso un legame tra l’insorgenza del morbo e disfunzioni nel metabolismo del colesterolo: si ipotizza che gli ossisteroli prodotti dall’ossidazione di questa molecola siano una possibile causa della neuro-infiammazione e della formazione del peptide Aβ.

La dottoressa Gabriella Testa, ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche dell’Università degli Studi di Torino, ha illustrato il suo lavoro alla Fondazione Veronesi, che si concentra proprio su questa gamma di molecole antiossidanti chiamate polifenoli, presenti nelle piante e nei frutti e di cui l’olio extravergine d’oliva è particolarmente ricco. Lei lavora per verificare se l’idrossitirosolo sia in grado di contrastare la neuro-infiammazione prodotta dagli ossisteroli. Il suo progetto, sostenuto nel 2022 da una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi, potrebbe aprire la strada all’impiego del composto come nutraceutico.

“Sempre più evidenze sperimentali – osserva la ricercatrice – dimostrano che la dieta mediterranea riduce il rischio di demenza. L’olio d’oliva, ingrediente principale della dieta mediterranea, contiene numerosi polifenoli considerati potenziali nutraceutici per il trattamento delle malattie neurodegenerative. In particolare, l’idrossitirosolo potrebbe avere effetti benefici nell’Alzheimer: è stato infatti dimostrato che è in grado di contrastare la tossicità indotta dalla proteina beta amiloide che si accumula nel cervello durante la malattia. Tuttavia, sebbene dimostri una documentata azione antinfiammatoria in diverse patologie, quali l’aterosclerosi e il cancro, non sono ancora disponibili dati sul suo effetto antinfiammatorio in modelli Alzheimer. Con il nostro studio ci auguriamo di fornire un valido contributo nel documentare questo aspetto ancora sconosciuto”.

Quanto ne possiamo mangiare?

Solitamente l’assunzione di questo composto risulta ben tollerata all’organismo e non presenta controindicazioni se consumato in modo appropriato.

L’Istituto Superiore di Sanità (Iss) raccomanda una quantità di olio extravergine di oliva adeguata al piano alimentare seguito da ciascuna persona. In linea di massima le dosi consigliate sono comprese tra i 20 grammi (equivalenti a 2 cucchiai da minestra) e i 40-50 grammi al giorno (4 cucchiai da minestra).

 

Come riconoscere un olio buono

Un indice molto importante della qualità dell’olio, che però raramente viene indicato in etichetta, è proprio il valore di queste sostanze, in particolare dei polifenoli totali. Eppure i produttori potrebbero utilizzare la dicitura ”I polifenoli dell’olio di oliva contribuiscono alla protezione dei lipidi ematici dallo stress ossidativo” a condizione che i polifenoli, durante la vita a scaffale dell’extravergine non scendano sotto i 300 mg/kg.

I composti fenolici dell’olio di oliva differiscono da quelli contenuti nelle olive, e il loro aspetto quali-quantitativo è fortemente condizionato dalla varietà di olive che compongono l’olio, dal loro stadio di maturazione al momento della raccolta e dal processo di estrazione dell’olio.

Gli oli di oliva vergine ed extravergine, comunque, sono gli unici grassi vegetali che contengono naturalmente quantità apprezzabili (50-500 milligrammi per chilo, mg/Kg) di sostanze fenoliche. Il forte potere antiossidante conferisce ai polifenoli un consolidato ruolo sulla stabilità dell’olio di oliva. La letteratura è ricca di informazioni che mettono in rilievo la correlazione positiva tra quantità di polifenoli totali in oli vergini e la resistenza nel tempo all’ossidazione.

Poiché gli effetti benefici dell’olio Evo sono legati alla sua composizione, è importante che questa sia buona in partenza e che non venga alterata nel tempo. Oltretutto, anche all’interno della categoria extravergine, possiamo trovare oli estremamente diversi tra loro ed è importante scegliere sempre un olio di qualità, che rispetti caratteristiche chimiche e sensoriali precise, come:

·       Bassa acidità (inferiore allo 0,8%);

·       Chiaro odore/sapore riconducibile al frutto da cui proviene, l’oliva (sentore fruttato);

·       Sensazioni di amaro e piccante, indici di un buon contenuto di polifenoli.

 

Per non alterarne la composizione è preferibile consumarlo a crudo. La cottura ad alte temperature, infatti, determina un’alterazione e un deterioramento di molte sostanze importanti che non resistono al calore, come la vitamina E.

Tuttavia, la sua particolare composizione lipidica (cioè i grassi in esso contenuti), rende l’olio Evo più “stabile” al calore (cioè meno sensibile ai processi di alterazione come l’ossidazione) rispetto ad altri oli.

Invece, oli ricchi di grassi polinsaturi, come quello di mais o di soia, si degradano più rapidamente di quelli ricchi di grassi monoinsaturi come quelli di oliva, di nocciole o di arachidi, in prevalenza composti da acido oleico. Perciò, mentre in linea generale si consiglia di preferire alimenti che presentano una maggiore quantità di grassi polinsaturi perché tendenzialmente migliori per la salute, per la cottura dei cibi è meglio utilizzare quelli ricchi di monoinsaturi.

Più si allunga il tempo di riscaldamento più aumenta la degradazione dell’olio e dei polifenoli. Più la temperatura è alta e più la degradazione è veloce. Superata una certa temperatura, chiamata punto di fumo, l’olio comincia a produrre fumo e sostanze nocive come l’acroleina. Viene da sé che la modalità di cottura che più mette a dura prova la sua stabilità è la frittura, la cui temperatura ideale è di circa 180 °C (a temperature più basse il cibo si impregna, mentre a temperature più alte rischia di bruciare velocemente).

Naturalmente è buona norma non eccedere nel consumo degli alimenti fritti. Ma l’Evo si differenzia positivamente dagli oli di semi e ancor più da altri grassi di origine animale utilizzabili per la frittura (burro, strutto) proprio perché contiene molecole antiossidanti ed è più resistente al calore.