L’ingiuria è stata depenalizzata nel 2016 al contrario restano reati la minaccia, la diffamazione e la calunnia. Rimane tuttavia una condotta sanzionabile e si può incorrere nel risarcimento del danno
A partire dal 2016 l’ingiuria è stata depenalizzata e, pertanto, non costituisce più reato. Ciò significa che nessuno potrà subire un processo penale in caso di insulti e oltraggi. Tuttavia, tale condotta rimane sanzionabile dal punto di vista civile, sottoponendo l’autore della condotta ad una sanzione pecuniaria (da pagare allo Stato) nonché al risarcimento del danno, se provato.
Il reato di ingiuria prima dell’abrogazione
L’articolo 594 del codice penale, al primo comma, prevedeva che “chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516”. La fattispecie, pertanto, tutelava i beni giuridici dell’onore, inteso come l’insieme delle qualità morali che concorrono a determinare il valore di una persona, e del decoro, inteso come il rispetto di cui ciascun individuo è degno, da ogni tipo di attacco diretto alla dignità personale e sociale dell’essere umano che ricada sotto la sua percezione. La linea di confine tra la condotta costituente il reato di ingiuria e un semplice comportamento scortese, ma non costituente reato, era molto sottile e rimaneva apprezzabile esclusivamente dal giudice, il quale doveva necessariamente contestualizzare l’offesa, ovvero rapportarla all’ambito spazio-temporale nel quale era stata pronunciata. Nel fare questo apprezzamento, l’autorità giudiziaria doveva tener conto dell’effettiva capacità offensiva delle parole proferite e dei rapporti tra le parti.
Il soggetto attivo ed il soggetto passivo dell’ingiuria
Per quanto riguarda il soggetto attivo del reato di ingiuria, lo stesso poteva essere commesso da chiunque, data la natura di reato comune; il soggetto passivo, invece, poteva essere sia una persona fisica che giuridica, quindi anche le associazioni, le organizzazioni, le comunità religiose, ecc. Molto discussa è stata, invece, la riconducibilità tra i soggetti passivi delle persone incapaci di intendere e di volere, considerata la loro incapacità di percezione soggettiva del reato. La giurisprudenza prevalente tendeva ad includere anche le persone incapaci, in quanto l’oggetto della tutela penalistica va individuato in termini più ampi, in particolare nel valore della dignità umana in quanto tale.
L’elemento oggettivo del reato di ingiuria
Relativamente all’elemento oggettivo, l’ingiuria doveva essere commessa necessariamente in presenza della persona offesa, altrimenti si ricadeva nella diversa fattispecie di diffamazione di cui all’articolo 595 del codice penale. Il requisito della presenza, secondo la giurisprudenza di legittimità, non doveva essere inteso come una “contiguità spazio-temporale” tra la vittima e l’autore del reato, potendo configurarsi la fattispecie anche quando la vittima delle espressioni offensive non fosse fisicamente presente, essendo sufficiente per la configurazione del reato che l’ingiuria fosse divulgata a terze persone, in modo che venisse comunicata alla persona offesa.
La condotta penalmente rilevante
L’ingiuria poteva essere posta in essere mediante una serie di condotte. Al di là dell’offesa verbale, il secondo comma dell’articolo puniva con la stessa pena chiunque ponesse in essere la condotta di ingiuria mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. Si riteneva, tra l’altro, che potesse integrare il delitto in questione anche un comportamento materiale (cosiddetta ingiuria reale), costituenti manifestazioni di disprezzo nei confronti di colui al quale erano diretti con l’obiettivo di causare sofferenza morale e non fisica (ad esempio, uno sputo o uno schiaffo).
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L’elemento soggettivo
Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, in materia di delitto di ingiuria non era richiesta la presenza di dolo intenzionale (ovvero l’intenzione unica di arrecare una precisa offesa nei confronti della vittima), essendo sufficiente la sussistenza della volontà dell’autore del reato di utilizzare espressioni ingiuriose con la consapevolezza di offendere l’onore e il decoro altrui. Il dolo richiesto, pertanto, era il dolo generico e riguardava ogni espressione lesiva della dignità e dell’onore della persona (cfr. Cass. n. 26936/14).
Procedibilità
Il reato di ingiuria era procedibile a querela della persona offesa. Qualora la persona offesa fosse deceduta prima della presentazione della querela e prima dei tre mesi dalla conoscenza del fatto costituente reato, la querela poteva essere proposta dai prossimi congiunti, dall’adottante o dall’adottato.
La ritorsione e la provocazione
La punibilità del reato di ingiuria era limitata o, addirittura, esclusa nelle ipotesi espressamente disciplinate dall’articolo 599 del codice penale. Tale norma parlava di ritorsione e di provocazione. Per ritorsione si intendevano le offese reciproche; in tal caso, il giudice poteva dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori. Questa limitazione di punibilità è ancora prevista dall’articolo 4 del D.lgs. 7 del 2016, che disciplina l’ingiuria quale illecito civile.
Per provocazione, invece, si intende lo stato d’ira provocato da un fatto ingiusto altrui. Se la frase ingiuriosa fosse stata pronunciata subito dopo tale stato d’ira, ciò valeva come causa di esclusione della colpevolezza. Anche tale limitazione di responsabilità rimane ancora disciplinata nell’ambito civile.
Ingiuria, minaccia, diffamazione e calunnia: le differenze
È importante non confondere il delitto di ingiuria con quello di diffamazione o con la calunnia. L’ingiuria consiste nell’offesa rivolta alla vittima, in sua presenza. Essa, dunque, richiede due comportamenti: l’offesa e la presenza della vittima a cui deve essere indirizzata direttamente la frase offensiva. Il classico esempio è quello della persona che dice una parolaccia ad un’altra persona nel corso di un litigio.
La minaccia, invece, non consiste nel generare un’offesa alla reputazione, ma in un timore nella vittima per la propria (o altrui) incolumità. Per fare un esempio, risponde del delitto di minaccia chiunque proferisca frasi del tipo: “stai attento, ti faccio sparire, non devi più passare da queste parti”.
Ancora diverso è il reato di diffamazione, che si configura quando l’offesa viene rivolta nei confronti di una persona ma in sua assenza e dinanzi ad almeno due persone. È il caso di chi parla male di qualcuno, offendendo la sua reputazione, ad altre persone.
Infine, la calunnia si concretizza nel comportamento di chi querela o denuncia una persona per un reato essendo, però, consapevole della sua innocenza. La calunnia, dunque, presuppone la malafede.
Di tutti questi comportamenti, solo l’ingiuria è stata depenalizzata. Gli altri, invece, continuano a configurare reato, in quanto il legislatore ha reputato tali condotte gravi e meritevoli di sanzione penale. In particolare, la calunnia costituisce la fattispecie più grave tra tutte: il legislatore, in tal caso, ha previsto la pena della reclusione da due a sei anni. Segue la diffamazione, con la reclusione fino ad un anno e la multa fino ad euro 1032, e infine la minaccia, con la multa fino ad euro 1032. Tuttavia, se la minaccia è grave, si ricade nell’ipotesi prevista dal secondo comma, il quale prevede la pena della reclusione fino ad un anno. Inoltre, la procedibilità della calunnia è d’ufficio: ciò significa che prescinde dalla presenza di una querela della persona offesa. Per la diffamazione e la minaccia, invece, si può procedere solo su istanza di parte, rendendosi in tal caso necessaria la querela.
L’abrogazione del reato di ingiuria
Il D.lgs. n. 7 del 2016 ha abrogato il delitto di ingiuria, rendendo pertanto non più perseguibile penalmente chiunque ponesse in essere condotte offensive del decoro o dell’onore altrui. In caso di processo già iniziato prima dell’entrata in vigore del D.lgs. 7 del 2016, invece, la conclusione è stata la pronuncia di una sentenza estinzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
L’ingiuria come illecito civile
L’abrogazione del reato di ingiuria non comporta, tuttavia, che le condotte offensive del decoro e dell’onore altrui siano legalmente tollerate. L’ingiuria, infatti, ai sensi dell’articolo 4 del medesimo D.lgs. 7 del 2016, è divenuto illecito civile; ciò significa che l’autore di tale condotta può essere sanzionato con un risarcimento del danno. Per ottenere il ristoro è necessario, dunque, agire con un processo civile. In caso di condanna, la parte dovrà anzitutto risarcire i danni della vittima. Il risarcimento viene quantificato dal giudice in casi ad una serie di variabili, come:
- l’entità dell’offesa;
- il contesto in cui l’offesa è stata proferita;
- la durata dell’offesa;
- la presenza di altre persone ad ascoltare l’offesa.
Il danno, ovviamente, deve essere dimostrato, non essendo presunto nel fatto stesso dell’illecito. La vittima, dunque, dovrà dimostrare di aver subito una lesione al proprio onore e decoro. Per dimostrare l’ingiuria si potrà ricorrere alle prove tipiche previste nel processo civile, ovvero alla prova testimoniale, alla prova documentale, a registrazioni video e audio nonché alla confessione del responsabile. In altri termini, non è detto che il giudice condanni sempre l’autore della frase ingiuriosa, oltre alla sanzione economica, anche al risarcimento del danno. L’onere della prova per l’illecito civile è quasi impossibile, soprattutto quando il fatto è consumato in assenza di testimoni, attesa l’impossibilità per le parti di essere testimoni di se stessi in un giudizio civile.
Il risarcimento dei danni non è l’unica forma di sanzione applicabile nel caso di ingiuria: la legge infatti prevede anche una sanzione pecuniaria a carico dell’autore della condotta. Lo stesso, pertanto, dovrà pagare in favore dello Stato una somma di denaro che va dai 100 euro agli 8.000 euro. La somma è aumentata da 200 euro a 12.000 euro se l’ingiuria è consistita nell’attribuzione di un fatto determinato oppure è stata commessa in presenza di più persone, integrando in tal caso un’ipotesi aggravata.
L’articolo 4 prevede, inoltre, che se le offese sono reciproche il giudice può non applicare la sanzione pecuniaria civile ad uno o ad entrambi gli offensori. Infine, non è sanzionabile chi ha commesso il fatto nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso.
Le conseguenze dell’abrogazione del reato di ingiuria
Le conseguenze della “trasformazione” dell’ingiuria da illecito penale a civile, dunque, sono le seguenti:
- non è più possibile sporgere querela;
- non ci si deve più rivolgere alla polizia o ai carabinieri, ma al giudice civile, presentando un atto di citazione tramite il proprio avvocato;
- non si terrà più un processo penale, bensì un giudizio civile;
- non è più sufficiente la dichiarazione della vittima dell’ingiuria come prova, non potendo nel giudizio civile essere testimoni di se stessi;
- non è più lo Stato a portare avanti il processo, ma la vittima;
- il responsabile non viene sottoposto a sanzione penale, ma ad una sanzione civile e al risarcimento del danno nei confronti della vittima;
- la sanzione per l’ingiuria, di conseguenza, non è menzionata nel casellario giudiziario;
- la vittima, infine, deve anticipare le spese processuali, avendo lo stesso azionato il giudizio civile.
Quando l’ingiuria è reato
A seguito dell’abrogazione del reato di ingiuria, ci si chiede se residuino profili penali e, in particolare, cosa accade qualora tale condotta sia accompagnata da minacce: la fattispecie costituisce comunque illecito civile o si rimane nell’ambito penale?
Secondo la Corte di Cassazione non ci sono dubbi: se unitamente all’offesa vengono proferite frasi dal contenuto minaccioso nei confronti del soggetto ingiuriato, per le minacce si procederà in sede penale, secondo quanto previsto dall’articolo 612, mentre per la condotta ingiuriosa resta ferma la competenza del giudice civile.
Quando è integrato il reato di minaccia
L’articolo 612 del codice penale, al primo comma, dispone che: “chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 1032”. Il secondo comma prevede la pena della reclusione fino ad un anno se la minaccia è grave o se fatta in uno dei modi previsti dall’articolo 339 del codice penale (ad esempio, se commessa con armi o da persona travisata). Il reato di minaccia, dunque, è un reato di pericolo e, pertanto, le parole proferite devono essere idonee a cagionare effetti intimidatori sul soggetto passivo, a prescindere poi se il turbamento psichico si verifichi effettivamente. Il carattere intimidatorio della frase va valutato anche alla luce dei rapporti tra le parti.