Manzi: “Ecco come ridurre l’acrilammide in cucina”

MANZI ACRILAMMIDE

Chiara Manzi, nutrizionista e massima esperta in Culinary Nutrition, ci spiega con quali accorgimenti in cucina si può ridurre l’acrilammide, il composto cancerogeno, attraverso il “colore” della cottura. La sua presentazione premiata al Congresso internazionale di Nutrizione a Tokyo

Ridurre l’acrilammide durante la preparazione dei cibi che più la contengono – dalla pizza al pane, dai biscotti alle patate –  si può e la mia guida cromatica aiuta ad esempio a capire quando il colore delle patate vira verso il marroncino la concentrazione di questo contaminante di processo probabile cancerogeno comincia a salire. Il nostro righello cromatico aiuta i consumatori a capire quando la cottura delle patate diventa sospetta”.

Chiara Manzi, nutrizionista e massima esperta in Culinary Nutrition, collaboratrice del Salvagente con il suo fortunato ciclo di video “Occhi Aperti” e il nuovo “Acrilammide il cancerogeno tabù“, da anni studia questo contaminante naturale di processo (classificato dalla Iarc-Oms in 2A come “probabile cancerogeno per l’uomo) che si sprigiona quando cuociamo alimenti ricchi di zuccheri ad alte temperature.

Nel suo nuovo libro “Acrilammide il cancerogeno tabù” (Art joins Nutrition Editore, 368 pagine, 60 euro, che contiene anche il righello cromatico) spiega cos’è questa sostanza e fornisce consigli utili per tenerla sotto controllo durante la preparazione dei cibi in casa. “Non vogliamo assolutamente terrorizzare i consumatori né tanto meno però mettere la testa sotto la sabbia: dimostriamo che ridurre l’acrilammide si può, basta seguire un po’ di utili accorgimenti”.

Come ridurre l’acrilammide in cucina

E allora partiamo proprio dai consigli pratici. “Impariamo innanzitutto a capire che siamo abituati a stra-cuocere i nostri cibi: l’80% delle nostre preparazioni avvengono a una temperatura elevata. Cominciamo a tarare il forno sotto ai 160 gradi: le temperatura più basse riducono sensibilimente la formazione dell’acrilammide. Inoltre i tempi lunghi non servono: per cui si riduce anche il consumo energetico”.

Passiamo ai cibi. “I biscotti fatti in casi inforniamoli a 155 gradi centigradi in forno. Quando prepariamo la pizza in casa inseriamo nel forno un contenitore con dell’acqua: l’iniezione di vapore inibisce l’acrilammide“.

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E ancora. “Nella preparazione delle patate si può ridurre del 50% lo sviluppo del contaminante semplicemente mettendole in ammollo per un’ora a temperatura ambiente prima della cottura”. Naturalmente prima di cucinarle le patate vanno asciugate.

La guida cromatica per “riconoscere” l’acrilammide

L’acrilammide si sviluppa negli alimenti contenenti asparagina (aminoacido) e zuccheri, sottoposti a temperature superiori a 120 gradi ed è riconoscibile dal colore bruno. Si sviluppa principalmente in patate, prodotti a base di cereali e caffè.

Il Regolamento europeo 2158/2017 ha stabilito misure di mitigazione per i produttori alimentari e livelli di riferimento per la  riduzione dell’acrilammide in molti prodotti, incoraggiando l’uso di scale colorimetriche che forniscono una correlazione statistica tra l’intensità del colore e il contenuto di acrilammide.

Il team di ricerca della dottoressa Manzi, sulla base di circa 2.500 prove analitiche condotte sulla patate, ha trasformato il pantone-colore del tubero cotto in un contenuto di acrilammide. Il risultato, ad uso pratico, è contenuto nel righello cromatico contenuto nel nuovo libro.

Lo studio presentato a Tokio al Congresso internazionale della Nutrizione dell’Unione Internazionale delle Scienze della Nutrizione dalla dotoressa Manzi si è concentrato sulla determinazione dell’acrilammide sulla base del colore delle patate cotte al forno, realizzando un righello colorimetrico che a colpo d’occhio aiuti a capire i quantitativi di acrilammide. Durante l’evento quadriennale in cui vengono esposte le più importanti ricerche scientifiche in campo di nutrizione, la dottoressa Manzi è stata premiata tra i Best Abstract Award (premio per i migliori abstract presentati). “Un riconoscimento importante – conclude la Manzi – che conferma il nostro studio e il fatto che ridurre l’acrilammide si può”.