A marzo 2022 il ministero dello Sviluppo economico aveva varato una misura “temporanea” ed “eccezionale”: permettere alle aziende di indicare “Oli e grassi vegetali (girasole, palma, mais, soia…)” e poi scegliere cosa usare senza doverlo spiegare al consumatore. Oggi l’emergenza legata al girasole è finita, la scarsa trasparenza no
L’impatto sull’economia della triste guerra in Ucraina non ha riguardato soltanto l’aspetto energetico e dei combustibili fossili, ma anche il comparto alimentare. Il prezzo del cibo in ogni filiera è aumentato per la voce dei costi di trasporto e di approvvigionamento energetico delle industrie, ma ci sono veri e propri alimenti da cui i paesi europei dipendono per una grande percentuale di import dall’Ucraina.
Tra questi ci sono certamente gli oli di semi, soprattutto di girasole del quale l’Italia importa più del 60% proprio dall’Ucraina.
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Negli ultimi dieci anni la cattiva nomea dell’olio di palma, sia per quanto concerne la salute che per l’ambiente, ha indotto tantissime aziende a sostituire questo prodotto nelle proprie ricette così da non farlo figurare nella lista degli ingredienti, evidenziando a caratteri cubitali la sua assenza sulla facciata delle confezioni: “Senza olio di palma”.
Di tutta la gamma di oli in commercio il girasole si è dimostrato il più valido sostituto per il suo gusto delicato, quindi neutro nelle ricette, per il suo profilo cromatico e soprattutto per la sua relativa economicità.
La crisi del girasole e l’aiuto “temporaneo”
Questo per lo meno fino a qualche mese fa; il prezzo dell’olio di girasole con l’avvento della guerra è aumentato drasticamente a causa appunto della sua ridotta disponibilità sul mercato. Per questa mancanza le aziende che lo usavano come ingrediente si sono trovate in grossa difficoltà, sia nel mantenimento dello standard dei propri prodotti, ma soprattutto nella ristampa delle confezioni che riportavano la dicitura “olio di girasole” nella lista ingredienti e l’impatto che questo ultimo aveva sulla dichiarazione nutrizionale.
Il ministero dello Sviluppo economico è venuto in loro aiuto nel marzo 2022 con una misura “temporanea” ed “eccezionale” che permetteva ai produttori di usare in etichetta una dicitura flessibile (anche sovrapponibile con uno sticker) del tipo: “Oli e grassi vegetali (girasole, palma, mais, soia, ecc…)” per poi scegliere quello che volevano e trovavano sul mercato. Un modo semplice di dire: “Ci metto l’olio che voglio, senza doverlo dire al consumatore”.
Per di più la circolare non obbliga a modificare la dichiarazione nutrizionale, chiaramente inficiata per quanto riguarda la sgradita riga dei grassi saturi che potrebbe aumentare nel suo valore.
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E il temporaneo diventa definitivo
Sicuramente questa decisione va bene in un brevissimo momento di emergenza, utile per dare il tempo alle aziende di rifare le grafiche e le stampa. Ma trovare ancora la dicitura flessibile sul package originale (neanche su uno sticker) potrebbe significare aver usato la circolare del ministero come nulla osta a impiegare oli di scarsa qualità come ad esempio quello di colza o a reintrodurre magari l’olio di palma, precedentemente rimosso.
Al supermercato la dicitura flessibile si trova ancora su molti biscotti e merendine a partire da quelli del Mulino Bianco (“oli vegetali – girasole, mais, colza soia)” fino a quelli di Lidl, che aggiunge anche il palma alla lista. C’è da dire che Barilla ci ha comunicato che nonostante compaia nella lista non ha mai utilizzato l’olio di colza e che sono in fase di stampa le etichette corrette. In tutti i casi possiamo fare qualche considerazione e ipotesi e appuntarci di ricontrollare le etichette nei prossimi mesi per tutti i prodotti che ancora continuano a usare questa dizione decisamente poco trasparente.
E questo non vale di certo solo per i biscotti. Anche la gamma di pizze surgelate ancora utilizza la formula ambigua: un caso è quello di Italpizza di cui abbiamo parlato nel numero di novembre del Salvagente.
Emergenza finita… o no?
A soli 8 anni dall’entrata in vigore del Regolamento europeo dell’etichettatura che ha disciplinato il delicato campo degli oli vegetali, sarebbe un vero peccato per il consumatore perdere i dati sulla trasparenza di un ingrediente così comune è importante.
Non bisogna poi confondere la dicitura flessibile con un’altra regolamentazione dettata dal Regolamento 1169/2011, ossia le miscele di oli. Sulla base dell’allegato VII del Regolamento è possibile utilizzare la dicitura “in proporzioni variabili” alla fine della lista degli oli costituenti la miscela, ma è obbligatorio enumerarli dal più presente al meno presente. Attenzione quindi agli oli sgraditi se li troviamo nelle prime posizioni della lista.
In conclusione è importante fare caso alla presenza della dicitura flessibile in futuro, perché oggi nonostante il drammatico prosieguo delle ostilità, l’import dell’olio di semi di girasole si è risolto e sarebbe il caso che i produttori tornassero a indicare solo quello che effettivamente usano, in modo tale da facilitare la lettura critica delle etichette da parte del consumatore.
Certo è aumentato il prezzo, ma la disponibilità c’è anche da altri mercati, senza contare, nel caso dell’Italia, che esiste una produzione nazionale di una variante qualitativamente e salutisticamente migliore, che è l’olio di girasole proveniente da semi selezionati per un maggiore contenuto di acido oleico. L’accordo tra Olitalia e Filiera agricola italiana Spa per l’avvio di queste produzioni risale al 2019, prima della pandemia.