Plastica compostabile, il 60% non si decompone (e inquina di più)

plastica

Nella lotta all’inquinamento da plastica, sempre più marchi promettono imballaggi “biodegradabili” e “compostabili a casa”. Ma quanto valgono davvero queste affermazioni? I ricercatori britannici hanno deciso di indagare e i risultati sono tutt’altro che convincenti

La maggior parte della plastica commercializzata come “compostabile” in realtà non è in grado di disintegrarsi nei sistemi di compostaggio domestico. È quanto emerge da una ricerca britannica condotta dall’University College di Londra e pubblicata su Frontiers in Sustainability.

“La linea di fondo è che la plastica compostabile domestica non funziona”, ha affermato il professor Mark Miodownik, autore dello studio. “Smettiamola. Non facciamo finta con noi stessi che sarà una sorta di panacea”. Dallo studio è emerso che la maggior parte della plastica che le persone mettono nel sistema di compostaggio domestico non ha le caratteristiche per essere smaltito.

Inoltre, i ricercatori hanno scoperto anche che il 14% degli imballaggi in plastica era certificato “compostabile industrialmente” e il 46% non ha alcuna certificazione compostabile (ad esempio potrebbero essere “biodegradabili al 100%”, il che in genere significa che non possono essere compostati).

Compostabili o biodegradabili?

La differenza tra un prodotto compostabile e biodegradabile è sottile, ma sostanziale.

Possiamo parlare di materiale organico compostabile quando necessita di essere trattato con il processo di compostaggio, per essere riciclato correttamente. Il compostaggio è un procedimento di riciclaggio dei rifiuti organici che consente di facilitare la scomposizione degli elementi naturali di un materiale trasformandolo in compost. Questo processo di biodegradazione aerobica produce un materiale simile al terriccio scuro che, opportunamente sanificato e stabilizzato, è ricco di sostanze nutritive, utili alla coltivazione. Dunque, un materiale compostabile, se riciclato nel modo corretto, si trasforma in un fertilizzante naturale e biologico utilizzabile in agricoltura. Tuttavia, in particolare nel settore del packaging, i prodotti possono essere etichettati come “compostabili” solo se il processo è garantito nell’arco di 3 mesi e in un impianto di compostaggio industriale.

Non conosci il Salvagente? Scarica GRATIS il numero con l'inchiesta sull'olio extravergine cliccando sul pulsante qui in basso e scopri cosa significa avere accesso a un’informazione davvero libera e indipendente

Sì! Voglio scaricare gratis il numero di giugno 2023

Sono considerati biodegradabili tutti quei materiali organici che possono essere scomposti da microrganismi naturali, in modo sicuro e rapido, per diventare acqua o gas, come il metano. Il significato di biodegradabilità risiede tutto nella parola “bio”, parola di origine greca che significa “vita”.

Quindi, la biodegradabilità è la capacità di un materiale di scomporsi in modo naturale, per tornare a donare vita al pianeta. La normativa europea UNI EN 13432:2002 prevede che un prodotto possa essere etichettato come biodegradabile solo se il 90% della decomposizione avviene entro 6 mesi.

Confusione in etichetta

I ricercatori hanno basato i loro risultati sui dati raccolti attraverso 9.700 questionari somministrati ad altrettanti cittadini britannici. Dal sondaggio sono emersi anche molti problemi di comprensione relativamente alle informazioni di riciclo fornite in etichetta.

Pfas nella plastica compostabile: la nostra prova

La plastica compostabile, in particolare quella utilizzata per le stoviglie, era finita sotto osservazione dopo che un nostro test condotto su 11 campioni di stoviglie compostabili (7 piatti, 2 bicchieri, 2 coperchi/coperture dei lunch box) usate per i pranzi in alcune scuole del nostro paese, da Roma a Milano. Dopo oltre due mesi di analisi, i risultati che abbiamo ricevuto sono tutt’altro che tranquillizzanti. Dei 2 bicchieri analizzati, uno aveva fluoro a 470 ppm (parti per milione) e il secondo un livello non rilevabile (sotto i 200 ppm). Per i piatti il risultato è stato ben peggiore: in tutti è stato rilevato fluoro, anche quattro volte più alto. Il livello massimo è stato di 2.030 ppm (parti per milione). Il fluoro è possibile indicatore della presenza di Pfas: il dubbio è se, e in che misura, i Pfas possano migrare nelle pietanze. Una scoperta che ha aperto un dibattito con il Consorzio italiano compostatori Cic che ha chiesto il divieto di usare Pfas nella plastica compostabile.