“Attraverso gli imballaggi”, il report europeo che accusa la Gdo sulla plastica

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Una coalizione di Ong ha contattato 130 rivenditori in 13 paesi europei per assegnare un punteggio su trasparenza, impegni e appoggio a politiche verdi per ridurre la plastica da imballaggi. Tra greenwashing e misure una tantum, la situazione non è buona. Bene Aldi e Carrefour

 

“Attraverso l’imballaggio. Quello che la grande distribuzione europea non ci dice sulla plastica”. Il nome della prima indagine europea sull’argomento è già di per sé esplicativo del ruolo che i supermercati hanno nella diffusione, e indirettamente nella dispersione in ambiente, di uno dei materiali più inquinanti che esistano. L’indagine, coordinata a livello europeo dalla Fondazione Changing Market con il sostegno di diciassette associazioni nazionali, presenta risultati deludenti sulle tre dimensioni analizzate: performance e trasparenza; impegni; sostegno a politiche di governo ambiziose.

130 rivenditori contattati in 13 paesi europei

Per questo rapporto, una coalizione di una ventina di Ong ha contattato 130 rivenditori in 13 paesi europei (tra giugno e dicembre 2021). Stranamente, tra questi non c’è l’Italia, anche se compaiono insegne attive anche nel nostro paese. Solo 39 rivenditori (30%) hanno fornito una risposta scritta al questionario e pochi hanno risposto a tutte le domande poste. “Pertanto – spiega il rapporto – abbiamo dato un’occhiata più da vicino alle politiche e alle informazioni rilevanti rese pubbliche attraverso una ricerca di 74 rivenditori europei contattati, concentrando i nostri sforzi su quelli con il fatturato più alto e che sono presenti in almeno due paesi europei”.

Aldi e Carrefour tra i migliori

Il punteggio medio complessivo ottenuto dai marchi nelle tre categorie è di soli 13,1 punti (su 100), ovvero il 13%. Solo due aziende hanno superato il 60% e sono in testa alla classifica. Si tratta di Aldi nel Regno Unito, con il 65,3%, e Aldi in Irlanda, con il 61%. Le seguenti aziende mostrano un gap rispetto alle precedenti, con Lidl nel Regno Unito (44,7%), Carrefour in Francia (41,7%) e il supermercato biologico francese BioCoop (37%). In fondo alla classifica le 14 società che non hanno ricevuto punti, tra cui Cora (Belgio), BILLA e PENNY (gruppo REWE), Coop e Tesco (Repubblica Ceca), Maxima, Prisma e Selver (Estonia), Leclerc (Francia) , Musgrave e Dunnes Stores (Irlanda), Intermarché (Portogallo), Metro (Ucraina) e Carrefour (Spagna)

Risultati eterogenei da un paese all’altro per gli stessi distributori

Interrogando gli stessi distributori in più paesi, l’indagine consente di misurare l’assenza
politica coerente in termini di sviluppo sostenibile in materia di imballaggi in plastica:
Carrefour, che ha ottenuto buoni risultati in Francia, ha segnato solo 16,3 punti in Belgio e zero in Spagna. Allo stesso modo, Lidl, ha ottenuto 44,7 punti nel Regno Unito e tra 13 e 23,7 punti in altri paesi come la Germania e la Repubblica Ceca. Lo studio deplora “il divario tra la comunicazione e l’impatto delle azioni realizzate. Spesso confinate ad alcune azioni una tantum per ridurre la plastica su una minoranza di prodotti, le azioni dei distributori non consentono di ridurre la loro impronta plastica complessiva (che peraltro non lo è misurata in modo abbastanza accurato)”.

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La strategia debole sugli imballaggi

Purtroppo, la Gdo preferisce concentrarsi sulla riciclabilità come strategia primaria, piuttosto che dare priorità alla riduzione dei rifiuti e al loro riutilizzo, secondo la gerarchia dei metodi di trattamento dei rifiuti. La Changing Markets Foundation ha combinato le migliori risposte del questionario per creare un marchio fittizio di prim’ordine che ha ottenuto un punteggio totale dell’82,7%. Le prestazioni e gli impegni in termini di riutilizzo sono stati un punto debole, in quanto nessun marchio è stato ritenuto sufficientemente efficiente. La maggior parte degli altri argomenti sono stati ben trattati da almeno un marchio. Inoltre, semplicemente combinando le migliori pratiche esistenti, i grandi rivenditori potrebbero migliorare significativamente i loro risultati, aumentando la loro trasparenza, nonché assumendo impegni credibili e significativi per ridurre, riutilizzare e riciclare i loro imballaggi in plastica, sostenendo al contempo politiche governative ambiziose. Ciò consentirebbe di standardizzare le regole del gioco nel settore.

Le pratiche di greenwashing

Il rapporto evidenzia anche le pratiche problematiche di greenwashing di alcuni rivenditori. La Ellen MacArthur Foundation indica che i grandi rivenditori che hanno firmato il “Global Commitment to a New Plastics Economy” immettono sul mercato oltre il 60% degli imballaggi flessibili non riciclabili. “Il nostro rapporto mostra che invece di riprogettare e ridurre i propri imballaggi, i rivenditori stanno cercando di riciclare ciò che non è riciclabile” spiegano gli autori del rapporto. Esempi di greenwashing si possono trovare nel Regno Unito, con la creazione del Flexible Plastic Fund e schemi di raccolta per la plastica flessibile nei supermercati, che alla fine derivano dalla mancanza di politiche governative. Tesco e Sainsbury’s hanno installato bidoni per raccogliere gli imballaggi morbidi separatamente dai loro magazzini e hanno incaricato una società di gestire questi rifiuti, ma si è scoperto che questa società stava esportando i rifiuti in paesi terzi come la Turchia, dove precedenti indagini hanno dimostrato che i rifiuti venivano scaricati illegalmente e bruciato.