Roulette russa extravergine, dopo sei anni si torna punto e a capo

EXTRAVERGINE

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Ancora una volta l’inchiesta di copertina del Salvagente disegna uno scenario non tranquillizzante per i consumatori. Esattamente come nel giugno del 2015 le nostre analisi hanno dimostrato cosa accade ai tanti amanti dell’extravergine che si avvicinano agli scaffali del supermercato convinti di mettere nel carrello un prodotto che per lo meno risponda alla denominazione di etichetta, quella di contenere un olio di categoria superiore.
Come potrete leggere nella lunga inchiesta di Enrico Cinotti 7 bottiglie su 15 sono risultate alle analisi semplici vergini e  non si tratta di un pericolo per la salute di chi consuma questi oli, ma di un inganno commerciale – questo sì – quale che sia il momento in cui si è verificato il problema, visto che tra un vergine e un extravergine c’è – o meglio ci dovrebbe essere – una differenza di prezzo di almeno il 30%. Una differenza ampiamente giustificata dagli 8 extravergine promossi dalle nostre analisi, ma non da circa la metà del campione bocciato.

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A rendere il nostro test ancora più amaro ci sono i nomi delle bottiglie che hanno mostrato difetti incompatibili – non lo diciamo noi, ma la legge – con un olio extravergine: parliamo di molti big del settore, aziende del calibro di De Cecco, Cirio, Carapelli, Colavita, Coricelli e di due prodotti a marchio di discount (Eurospin e Todis). Non sappiamo se oggi come sei anni fa alla nostra denuncia seguirà un’azione della magistratura, ma ci è facile immaginare che ripartirà l’attacco industriale a uno dei pochi strumenti a garanzia del consumatore (e di chi imbottiglia prodotti di qualità): il panel test previsto dal legislatore comunitario come strumento di valutazione al pari di un’analisi chimica.
Il quadro che emerge dalle pagine che leggerete sul giornale è chiarissimo: per un consumatore che si avvicina allo scaffale dell’olio, la probabilità di mettere nel carrello un prodotto che vale molto meno di quanto paga è alta. Non per tutti i marchi, ovviamente, come testimoniano le 8 promozioni senza ombre del nostro test. E a distanza di sei anni dalle reazioni suscitate dalla nostra prima inchiesta, ci sembra che in pochi abbiano fatto qualcosa per eliminare questa “roulette russa”. Alcuni ci hanno provato, ma prendendo la scorciatoia di un tentativo – finora fallito – di eliminare o depotenziare il panel test. Nessuno, invece, ha scelto la strada intrapresa dai tedeschi, che a intervalli regolari testano l’olio sugli scaffali dei supermercati e lo ritirano se non ha o non ha più le caratteristiche di un extravergine. E invece, ancora una volta le grandi industrie che in questo mese che ha preceduto la pubblicazione sono state informate dei risultati, hanno ritenuto nel migliore dei casi di testimoniare come il loro olio risulti un vero extravergine dalle loro analisi. Qualcuno ci ha preannunciato richieste danni come quelle che stiamo già affrontando con cause che proseguono da sei anni (una su tutte la richiesta danni di Coricelli di un risarcimento di 21 milioni di euro), altri hanno addirittura avuto l’ardire di parlare di analisi “farlocche” o di mettere in dubbio che il prodotto testato sia davvero il loro. Tanto le diffide quanto i sospetti gratuiti e infondati non ci hanno impedito di raccontare quello che analisi dal valore indubitabile come quelle che abbiamo commissionato all’Agenzia delle Dogane ci hanno restituito. Non sta a noi, ovviamente, indagare sull’origine di questo grande inganno; che possa dipendere dal trasporto dell’olio, dallo stoccaggio nei supermercati o da altro poco importa, tanto alla legge che a chi acquista un extravergine. La prima, infatti, prevede che il prodotto sia garantito per quello che dichiara fino alla scadenza indicata in confezione, il secondo si aspetta di acquistare quanto gli è stato promesso. E quando questo non accade ha tutto il diritto di indignarsi e di chiedere che le autorità lo tutelino.