Un accordo per evitare che la grande distribuzione organizzata schiacci i produttori nella corsa a mettere sugli scaffali prodotti sottocosto. Lo hanno firmato le principali associazioni di rappresentanza delle Gdo, per conto di insegne come Coop, Conad, Carrefour, Penny Market, Pam, In’s, e Alleanza delle Cooperative Agroalimentari, Cia-Agricoltori Italiani, Coldiretti, Confagricoltura, Copagri e Filiera Italia.
Stop alle aste a doppio ribasso
In particolare Ancc-Coop, Ancd-Conad, Federdistribuzione, Adm-Associazione Distribuzione Moderna, si sono impegnati a rispettare i principi comuni utili all’iter legislativo di recepimento della direttiva Europea sulle pratiche sleali nella filiera alimentare. “Occorre tutelare al meglio i consumatori e i produttori, assicurando qualità e giusto prezzo e favorendo la sostenibilità economica di tutti i comparti della filiera” scrivono i firmatari in comunicato congiunto. Entrando nel dettaglio, tra i punti principali l’intesa rigetta l’uso delle aste on line al doppio ribasso, riconsidera il tema delle vendite sottocosto limitandole a casi specifici, introduce specifiche sui pagamenti e affida all’Ispettorato centrale tutela qualità e Repressione Frodi (Icqrf), in quanto ente dotato di autonomia ed esperienza, il controllo del rispetto degli accordi e ed eventuali sanzioni, che però, secondo l’intesa, devono essere “proporzionate e tali da non compromettere la continuità delle imprese e il loro equilibrio economico (tenendo comunque conto dell’eventuale reiterazione da parte degli operatori di tali pratiche sleali)”.
Limiti alle vendite sottocosto
Altro punto cardine dell’accordo, la necessità di “riconsiderare e aggiornare la disciplina sulle vendite sottocosto per i prodotti freschi e deperibili, per rendere la regolamentazione e il contrasto a pratiche sleali più efficaci, facendo salvi quei prodotti freschissimi soggetti a variazioni stagionali o di mercato particolari, anche in ragione di abbattere gli sprechi inevitabili che esistono nella gestione di questi prodotti”. La vendita sottocosto, infatti, finora è stata uno strumento per imporre ai produttori di rinunciare a parte del margine di guadagno da parte della Gdo, che puntava sulla sproporzione di forze contrattuali. Ora la vendita sottocosto di prodotti alimentari freschi, freschissimi e deperibili è ammessa solo nel caso si registri del prodotto invenduto a rischio di deperibilità o nel caso di operazioni commerciali programmate e concordate con il fornitore in forma scritta, salvo comunque il divieto di imporre unilateralmente al fornitore, in modo diretto o indiretto, la perdita o il costo della vendita sottocosto.
I casi in cui è ammessa
Il ricorso alle vendite sottocosto può essere ammesso per un numero limitato di iniziative, connesse a situazioni particolari aziendali o di mercato e comunque sempre suscettibili di valutazione di conformità da parte degli Organi di controllo. La Gdo poi si impegna a favorire sui pagamenti una soluzione che consenta il mantenimento del cosiddetto “fine mese”, senza dilazionare i tempi di pagamento attuali o comprimere le tutele del fornitore.
Quel passaggio sul principio di riservatezza
Quello che lascia un po’ perplessi è il fatto che l’accordo contempli “il principio di riservatezza nella denuncia delle pratiche commerciali sleali”. A pensar male si potrebbe dire che in cambio di qualche tutela in più e la promessa di privilegiare il canale di approvvigionamento di prodotti italiani, la grande distribuzione organizzata abbia chiesto ai produttori di non lamentarsi pubblicamente in caso di violazioni. Insomma, “i panni sporchi si lavano in casa”, nonostante sia stata proprio la pressione sull’opinione pubblica di campagne come #ASTEnetevi e #Filierasporca, a spingere il comparto a darsi una mossa.
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