“Chiedere dati sui vaccini Pfizer non è eretico: la trasparenza non spaventa la scienza, aumenta la fiducia”

VACCINO PFIZER
Di recente ha suscitato sorpresa nella comunità scientifica, col rischio di ingenerare confusione nei non addetti ai lavori (proprio in un momento di emergenza in cui non ce n’era bisogno) l’opinione dell’Editor del BMJ Peter Doshi che ha sentito il bisogno di esprimere pubblicamente una riflessione “da ricercatore” sui dati di forniti dalla Pfeizer (giacchè la sicurezza almeno a breve termine è oramai confermata dalle milioni di dosi già iniettate) nello studio registrativo del vaccino anti-COVID.  Si tratta di osservazioni tecniche proprie di un addetto ai lavori, certamente, che ha però ingenerato una reazione di sconcerto. Tuttavia a mio parere, se inquadrato come la richiesta di un tecnico del settore, l’editoriale firmato da Peter Doshi può essere letto anche in un’ulteriore ottica, che va nella direzione di aumentare la trasparenza e la disponibilità dei dati affinché si possa aumentare e se possibile amplificare allo stesso tempo la fiducia e l’adesione consapevole nei confronti della vaccinazione anti-COVID.
Le Agenzie regolatorie internazionali (come l’EMA per l’Europa) e di tanti Paesi del mondo (tra cui l’FDA statunitense) hanno approvato – dopo rigorosa procedura d’analisi – i vaccini anti-COVID che sono attualmente in corso di somministrazione sulla base di dati ed evidenze scientifiche acclarate che non possono essere in nessun modo messe in dubbio. Altrimenti si rischia di alimentare (anche inconsapevolmente) posizioni distanti dalla scienza. 
Infatti, se da un lato è comprensibile che un ricercatore, da addetto ai lavori, chieda di accedere ai dati, dall’altra bisogna riconoscere il contesto in cui tale richiesta viene proposta, inclusa la difficoltà – in tema di vaccinazioni – a confrontarsi con le aumentate possibilità di accesso alle informazioni da parte dei singoli, che però non sempre vedono il cittadino in condizioni di verificare l’attendibilità delle fonti e dei dati presentati (a maggior ragione in una situazione di emergenza pandemica come quella in corso). Gli atteggiamenti di contrasto alla presente campagna vaccinale anti-COVID o più in generale le ideologie etichettate sotto l’epiteto “No Vax”, che noi tutti combattiamo in ambito medico e scientifico, possono anche riconoscere una componente (ma certamente non è l’unica) legata ad alcune difficoltà delle istituzioni o degli operatori del settore ad avviare sul campo e in maniera individuale un confronto informato, aperto e trasparente sui vaccini (siano essi pediatrici o proposti agli adulti) per giungere a una convinta adesione.  E’ solo da questo tipo di confronto certamente più laborioso e abbisognoso di personale formato ad hoc che può nascere l’auspicato “Empowerment” fissato come obiettivo esplicito dal Piano Nazionale Vaccini in vigore fino al 2017, finalizzato ad un’adesione convinta e consapevole nei confronti delle vaccinazioni, fondata sulla trasparenza.
E’ proprio la richiesta di trasparenza il cuore dell’editoriale di Peter Doshi, che si spinge fino alla richiesta di condivisione dei dati grezzi, ma si tratta di un ricercatore, peraltro consapevole (lo dichiara egli stesso) che tali dati sono già disponibili alle autorità regolatorie americane, europee, d’Israele e degli altri Paesi in cui il vaccino Pfizer è stato autorizzato; un accesso da consentire evidentemente (questa la richiesta di Doshi) almeno agli addetti ai lavori che in tal modo potranno diventare cassa di risonanza di un percorso di adesione consapevole alla vaccinazione anti-Covid. Come osservato da Doshi, sui siti delle aziende produttrici è specificato che tali dati saranno resi disponibili (com’è giusto che sia) al termine degli studi in corso, prevedibilmente entro il 2022, ma il sito internet dell’agenzia europea EMA lascia trasparire che saranno a breve messi a disposizione su richiesta dei ricercatori. La trasparenza non deve spaventare la scienza o la medicina e in ultima analisi potrà aumentare l’adesione consapevole alla campagna vaccinale: questa a mio avviso una possibile chiave di lettura  dell’editoriale di Peter Doshi, che ha però formulato “da ricercatore” una legittima richiesta “tecnica” senza tenere in debita considerazione il momento e il contesto di “infodemia” e pandemia in cui purtroppo continuiamo a vivere.

 

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