Uno scaribarile in cui ogni soggetto ha una parte di responsabilità, e che sta già costando tanto agli italiani. Le cause del sovraffollamento dei trasporti pubblici locali nelle ore di punta che preoccupano molto gli esperti del comitato tecnico scientifico del governo, non sono addossabili a un unico capro espiatorio. Il rischio focolaio Covid in bus, tram e metro cambia direzione e si prepara a divantare a partire da agosto nel braccio di ferro tra ministeri di Istruzione e Trasporti, da una parte, e enti locali e aziende di trasporto pubblico dall’altra. Tutti i soggetti in campo finiscono con il sottovalutare l’importanza di un’organizzazione degli spostamenti coordinata, a poche settimane dall’onda di contagi che a pochi giorni da novembre sembra ormai fuori controllo.
I fondi stanziati per ridurre la pressione sui trasporti
Nel Dl agosto, pubblicato in gazzetta il 14 dello stesso mese, il governo prevede 400 milioni di euro per il trasporto pubblico locale, di cui 300 per implementare i servizi aggiuntivi in vista di settembre. Gli altri 100 si aggiungono ai 500 già stanziati a maggio dal decreto rilancio per compensare i mancati introiti per le aziende. Eppure, dei 300 milioni destinati ad alleviare la pressione sui bus nelle ore di punta, a metà di ottobre, quando il virus rialza la testa violentemente e le foto degli assembramenti sui mezzi pubblici fanno il giro dei media, al governo risultano spesi solo 120. Il ministero dei trasporti punta il dito contro regioni e aziende di tpl per aver messo in circolazione solo 2mila bus aggiuntivi in tutta Italia. E in effetti i numeri che fino a pochi giorni fa circolavano al ministero, in molte regioni, sono poco incoraggianti: 130 bus nel Lazio (che pure ha stanziato un fondo regionale di 10 milioni per la questione), solo 80 in Lombardia, 206 in Emilia-Romagna, 200 in Toscana e 350 in Campania, la regione che si è impegnata di più. I mezzi recuperati sono soprattutto bus turistici inoperosi per l’assenza per l’appunto di turisti, soprattutto stranieri.
“Ma i bus turistici non riescono a coprire tutte le tratte”
Ma per le Regioni, difficile utilizzarli per coprire tutte le necessità. Durante l’audizione in commissione Trasporti della Camera, Fulvio Bonavitacola, coordinatore della Commissione Infrastrutture, mobilità e governo del territorio della Conferenza delle Regioni, e vicepresidente della Campania, ha spiegato: “I bus turistici hanno degli accessi in entrata e in uscita e un assetto interno che non si confanno alla rapidità di entrata e uscita tipica dei servizi di linea nei centri urbani. Immaginare che come d’incanto questi possano sostituire tout court i servizi di linea è una visione che non corrisponde alla realtà”. Eppure, in molti, tra cui anche gli stessi sindacati dei trasporti, la pensano diversamente. Secondo Salvatore Pellecchia, segretario generale della Federazione italiana trasporti Cisl: “utilizzare i bus turistici per i tratti extraurbani” dove le fermate sono poche, sarebbe una soluzione per liberare mezzi per le linee urbane.
Il braccio di ferro sui soldi che mancano
Le regioni però non ci stanno a passare per chi non ha speso bene i soldi a disposizione. Bonavitola dice: “Stiamo ancora aspettando il decreto di assegnazione sulla metà di quei 300 milioni. Ma risponde Roberto Traversi, sottosegretario ai trasporti: “Il governo si è sempre detto pronto ad intervenire con ulteriori risorse se ce ne fosse stato bisogno, ma da parte delle Regioni non è mai arrivata questa richiesta. Infatti ad oggi, come ribadito anche dal premier Conte in Parlamento, ci sono ancora 180 milioni di euro non spesi”, “Per questo mi auguro che le Regioni usino in fretta le risorse a disposizione per aumentare l’offerta. Se ci sarà bisogno di nuovi interventi, il governo farà ancora la sua parte”. Di certo sulla partita dei bus turistici non ha aiutato la resistenza iniziale di aziende dei trasporti locali e parti di sindacato. Per dirla con le parole dell’Assessore ai trasporti della Liguria, Giovanni Berrino, “C’è stata una certa ritrosia a dare il servizio ai privati da parte di alcune componenti, perché c’è la paura che questa situazione possa perdurare nel tempo, e che possa diminuire la capacità di traffico delle aziende di trasporto locale”.
La battaglia sulla scuola
In ogni caso, visto che in Italia, secondo l’Istat, si muovono ogni giorno 3 milioni di persone tra bus e tram, difficile immaginare che negli orari di punta la soluzione delle corse aggiuntive possa risolvere da sola il problema. Si apre dunque il ragionamento sullo scaglionamento di ingresso nelle scuole che infuoca il dibattito e porta le regioni a “buttare la croce” sul governo, sul ministro dei Trasporti, Paola De Micheli, e soprattutto sul ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina. Elisa De Berti, vicepresidente del Veneto, attacca: “La prima volta che la commissione mobilità della Conferenza delle Regioni ha scritto al ministro dei Trasporti dicendo che con l’apertura delle scuole il sistema dei trasporti pubblici locali sarebbe imploso risale al 31 marzo”. Le regioni chiedono indicazioni generali e un piano per scaglionare gli ingressi a scuola in modo da allentare la pressione sui trasporti, ma, secondo De Berti, a causa dell’assenza di input dal governo, “tutti ci siamo un po’ arrangiati ognuno in modo diverso riguardo la capienza massima dei mezzi pubblici”. E si ritorna ad agosto, mese decisivo in questa storia: “Il primo di agosto il ministro Speranza emette un’ordinanza – continua De Berti – con cui ripristina in blocco il distanziamento sociale sui mezzi pubblici di un metro e stabilisce che qualsiasi deroga al metro doveva essere autorizzata dal Cts. Nel mese di agosto è sostanzialmente ricominciato il caos a fronte del fatto che il 14 di settembre si stava avvicinando e non vi erano ancora chiare indicazioni sull’organizzazione della scuola e di conseguenza del trasporto”. Il 30 di agosto nel corso di un incontro con il ministro Boccia, il ministro De Micheli, il ministro Azzolina, e una rappresentanza delle regioni, viene comunicato che il cts concede una capienza dell’80% sui mezzi pubblici. “Io ringrazio sempre le aziende di trasportoo che in 14 giorni hanno fatto un miracolo, mettendo in piedi un servizio garantendo l’arrivo a scuola” conclude De Berti.
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Il rimpallo sul coordinamento
Sui tavoli di coordinamento tra le parti in gioco le ultime settimane sono state un costante rimpallo di responsabilità, con esponenti della maggioranza che accusano le regioni di non essersi presentate a tavoli importanti, anche a causa degli impegni elettorali per alcune di esse, e gli assessori regionali che accusano il ministero dei Trasporti di non aver coinvolto a tempo debito il dicastero responsabile delle scuole nella discussione comune. Sta di fatto che il Dpcm del 25 ottobre stabilisce l’obbligo di didattica a distanza minima per il 75% degli alunni e l’ingresso alle 9 in caso di situazioni critiche per le superiori. Eppure le immagini di sovraffollamenti sulle metro e sui bus non hanno smesso di girare su social e giornali. Forse il problema si risolverebbe mettendo mano anche ai flussi dei milioni di lavoratori che prendono i mezzi nelle ore di punta.
I sindacati lombardi chiedono alla regione di scaglionare gli ingressi in ufficio
A dirlo sono anche le organizzazioni di categoria dei trasporti legate a Cgil, Cisl e Uil in Lombardia, che in una nota scrivono che già a luglio proponevano “decisioni che vadano nella direzione dello scaglionamento degli orari di tutto quanto risponda a criteri pubblici, che deve essere oggetto di contrattazione specifica città per città, ente locale per ente locale, ufficio per ufficio. Bisogna evitare il collasso delle reti stradali, che rischiano seriamente di essere bloccate da mezzi privati”. Considerate le diversità territoriali emerse, Fit, Filt e Uiltrasporti, propongono che siano le agenzie territoriali, per prima la Regione “ad assumere il compito di coordinare i tavoli tra istituzioni locali, imprese, sistema di formazione e sindacati per trovare territorio per territorio le soluzioni più efficaci possibili. Proposta che ancora una volta è caduta nel vuoto”.
Se Conte decide di tagliare il nodo gordiano
E laddove le regioni temporeggiano, preferendo concentrare gli sforzi sulla contrattazione con il governo sulla richiesta di altri fondi per compensare la perdita di introiti delle compagnie di tpl, potrebbe essere lo stesso presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, a tagliare il nodo gordiano con un Dpcm che stabilisca, questa volta, non solo l’orario di chiusura per bar e ristoranti, ma anche lo scaglionamento in apertura di alcuni settori di pubblica amministrazione e di alcune categorie esercizi commerciali.