Torna il grano canadese nella pasta italiana (e l’incubo glifosato)

PASTA SPECULAZIONE

Anche in pieno lockdown le navi dal Canada e dagli Stati Uniti hanno continuato a scaricare nei porti italiani ingenti quantitativi di grano duro diretti alla filiera della pasta.

È quanto ricostruisce l’inchiesta pubblicata nel numero in edicola del Salvagente, sulla base dei dati ufficiali che abbiamo ottenuto. Dati che dicono che nei primi tre mesi del 2020 nel nostro paese sono stati sbarcati 700 milioni di chili di frumento destinato alla pastificazione, ben 254 milioni provenivano dal Canada e 175 dagli Stati Uniti, paesi dove la legislazione sui trattamenti fitosanitari è meno “severa” di quella europea, a cominciare dall’utilizzo del glifosato, l’erbicida più usato al mondo, classificato come “probabile cancerogeno” dalla Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Oms.

Il primo risultato del Ceta

In base alle stime nel 2020, per effetto del Ceta, l’accordo di libero scambio tra Canada e Unione europea, il grano duro complessivo importato da Ottawa supererà il miliardo di chili, attestandosi al livello del 2016.
A conti fatti quindi, grazie alle agevolazioni sui dazi doganali, l’import dal Canada torna ai livelli di 4 anni fa. Dopo il 2016, infatti, come testimoniato più volte dal Salvagente, le importazioni dal paese degli aceri subirono un brusco arresto e di fatto si azzerarono nel 2018, quando arrivarono appena 100 milioni di chili. A far cambiare rotta all’approvvigionamento nazionale di grano duro hanno sicuramente influito le proteste e le scelte dei consumatori che, forti dell’indicazione di origine del grano sui pacchi di pasta, in questi anni hanno di fatto applicato il principio di precauzione scegliendo prodotti che non venissero da paesi, come il Canada in particolare, dove il glifosato veniva usato in pre-raccolta per accelerarne la maturazione. E le aziende, come nel caso dell’olio di palma, di fronte alla posizione assunta dai consumatori non sono rimaste a guardare. Nell’aprile 2018 si mosse addirittura il leader di mercato, Barilla, che annunciò una vera e propria svolta: il taglio delle importazioni di grano duro dal Canada.

Cambia il vento

Ora però, nonostante la scelta di molti marchi di impiegare solo grano duro made in Italy – da ultima proprio la Barilla sui formati classici – il vento sembra essere cambiato e cioè è tornato a soffiare in direzione del Nord America.
Il motivo? Il Ceta, ovvero il Comprehensive Economic and Trade Agreement, letteralmente Accordo economico e commerciale globale, siglato tra Ue e Canada entrato in vigore in via provvisoria a settembre 2017, ratificato da diversi paesi membri ma ancora non dall’Italia. Come ha influito questo trattato di libero scambio? “Le agevolazioni doganali previste dal Ceta hanno sicuramente agevolato il ritorno dell’import di grano canadese”, spiega il senatore del gruppo Misto Saverio De Bonis, presidente dell’associazione Granosalus, che nei mesi scorsi ha presentato un’interrogazione puntando il dito contro il livello di controlli effettuati dalla Repressione e frodi nei porti italiani. “Soprattutto durante il lockdown – prosegue il senatore ex 5 Stelle – l’accordo di libero scambio non ha certo favorito l’attività ispettiva, visto che sulle navi attraccate nel porto di Bari e non solo sono stati fatti solo controlli documentali e non analitici per verificare ad esempio se il grano fosse contaminato da glifosato”.

Chi cerca il glifosato?

È lo stesso sistema dei controlli comunitari che rischia di mettere a repentaglio la sicurezza alimentare. La cosiddetta “triangolazione” infatti prevede che le ispezioni analitiche vengano fatte nel primo porto di attracco, Gibilterra o Malta nel caso delle navi provenienti dal Nord America. Quei grani sono stati analizzati a campione? “Questo non lo sappiamo – aggiunge De Bonis – di certo le autorità italiane non hanno fatto controlli suppletivi”.
Ma i porti italiani, pur volendo, possono fare le analisi sul glifosato? Chiamato in audizione dalla Commissione Agricoltura del Senato, Stefano Vaccari capo dipartimento dell’Icqrf, la Repressione frodi del ministero delle Politiche agricole, il 13 maggio scorso ha precisato: “Abbiamo continuato durante l’emergenza Covid-19 a effettuare i controlli anche se con squadre ridotte e abbiamo l’elenco delle navi ispezionate. Icqrf non è accreditato per compiere le analisi sul glifosato. Per questo i campioni vengono inviati al dipartimento di Veterinaria dell’Università di Milano, con la quale collaboriamo da anni, per l’accreditamento”. Un limite di intervento davvero vistoso al quale forse si rimedierà alla fine dell’anno. “Per essere completamente autonomi nelle analisi – ha aggiunto Vaccari – alla fine dell’anno arriverà un costosissimo macchinario Orbitrap, specifico per il glifosato, che abbiamo acquistato”.
Speriamo che le istituzioni a tutela della sicurezza alimentare vengano messe presto nelle condizioni di poter operare efficacemente visto che le navi dal Canada non hanno smesso mai di sbarcare grano nei porti italiani

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