Riesplode in Germania il caso dei macelli. Dopo i focolai di Covid-19 registrati a metà maggio (800 casi tra gli addetti alla macellazione delle carni), da ieri Berlino deve fare i conti con 657 nuovi contagiati in un impianto di lavorazione della carne suina, di proprietà della Tönnies, leader nel settore, nella circoscrizione di Guetersloh nel Nord Reno-Vestfalia. L’impianto, che sorge nel comune di Rheda-Wiedenbrueck, è stato chiuso dalle autorità a tempo indeterminato e i suoi quasi 7mila addetti messi in quarantena.
L’azienda “scarica” la colpa sul ritorno dei lavoratori polacchi e rumeni
Come è successo nei mesi scorsi negli Usa, un po’ frettolosamente le autorità tendono ad escludere qualsiasi causa interna alla lavorazione mentre i sospetti ricadono sulle condizioni igienico-sociali degli addetti alla macellazione. Scrive il Corriere della Sera nella sua corrispondenza: “L’azienda ammette solo che causa dell’esplosione dei contagi sia stato il ritorno da un lungo weekend di vacanza in patria, il primo dopo i mesi del lock down, di centinaia di lavoratori dell’Est, impiegati nell’impresa, in maggioranza polacchi e rumeni. Avrebbero viaggiato tutti insieme, alcuni fino a 17 ore, in bus affollati e senza alcun rispetto per le misure di igiene e sicurezza. Nessuno presentava sintomi, ma sin da lunedì i primi test hanno fatto registrare 128 positivi .’Possiamo solo scusarci’, ha detto un portavoce della Toennies”.
Una posizione davvero poco comprensibile e a nostro giudizio davvero sbrigativa che, oltre a prestare il fianco a interpretazioni pericolose, non risolve il problema di quello che resta un problema – l’allerta continua di focolai Covid-19 nei macelli – senza una soluzione.
Grasselli, Sivemp: “Non c’è un caso macelli”
Ma il contesto lavorativo può incidere? Il 19 maggio scorso lo avevamo chiesto a Aldo Grasselli, presidente Sivemp, il Sindacato italiano veterinari di medicina pubblica: “Gli impianti di macellazione per definizione sono ‘Industrie insalubri di prima categoria’ e quindi luoghi molto esposti alle contaminazioni e per questo da sempre le norme e le prassi igienico-sanitarie devono essere rispettate. A mio parere non ci sono focolai nei macelli ma tra gli addetti a questo tipo di lavorazione. Quindi non parlerei di un ‘caso macelli’ tantomeno in Italia dove si è registrato un caso in provincia di Bari tra gli addetti alla lavorazione. Le situazioni registrate all’estero a mio giudizio andrebbero approfondite conducendo, qualora i dati indicassero una vera emergenza, due tipi di indagine epidemiologica sui lavoratori – e il contesto socio-sanitario in cui vivono – e uno nel contesto di lavoro”.
Le conoscenze scientifiche al momento disponibili tendono ad escludere un contagio dalla carne cruda e cotta all’uomo, come anche dalle carcasse all’essere umano. “Attualmente non ci sono prove scientifiche sulla trasmissione della SARS-CoV-2 da un animale da compagnia o animale da fattoria infetto agli esseri umani”, ha spiegato all’inizio di marzo l’Agenzia francese di sicurezza sanitaria di cibo, ambiente e lavoro, una posizione riaffermata in un parere aggiornato alla fine di aprile. La stessa Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, per bocca di Marta Hugas, direttore scientifico dell’Autorità, ha rassicurato: “Attualmente non ci sono prove che il cibo sia fonte o via di trasmissione probabile del coronavirus”. E allora davvero è tutta colpa delle condizioni igieniche in cui vivrebbero alcuni addetti alla macellazione? E questa presunta causa, è all’origine dei tanti focolai scoppiati nei macelli in giro per il mondo?
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Berlino avvia giro di vite sugli allevamenti intensivi
Domande che restano tutte sul tappeto. Sappiamo che gli allevamenti intensivi restano un terreno fertili per le zoonosi e che nei macellli l’attenzione igienica non è mai troppa. Nel frattempo il governo di Berlino, come ci informa Euractiv, ” il ministro del lavoro Hubertus Heil ha presentato una proposta per riformare le prescrizioni sulla tutela del lavoro e dell’igiene nei macelli tedeschi. Mercoledì 20 maggio il governo ha quindi deciso di abolire il subappalto dei lavoratori e il ricorso ad aziende interinali nel settore della produzione e lavorazione della carne e ha previsto un nuovo sistema di contromisure, tra cui controlli più rigidi e sistematici e un innalzamento delle pene pecuniarie (fino a 30.000 €) per chi infrange le norme sugli orari di lavoro”. Basterà per scongiurare nuovi focolai?