“Non ci sono prove che ci sia una relazione tra 5G e diffusione del coronavirus, è inopportuno sollevare queste voci”. A dirlo è una scienziata che non può destare sospetti di benevolenza o conflitto d’interessi nei confronti delle compagnie di telecomunicazioni. Fiorella Belpoggi, direttrice scientifica dell’Istituto Ramazzini, ha studiato per anni gli effetti derivati dalla sovraesposizione alle onde elettromagnetiche, rilevando nei ratti la correlazione al rischio di cancerogenicità.
Professoressa, in Gran Bretagna ci sono stati casi di danneggiamenti alle antenne 5G perché si è sparsa la voce che questo tipo di connessione favorisca la circolazione del Covid-19. Che ne pensa?
A parte che mi sembra inopportuno sollevare questo problema in un momento come questo perché crea ancora più disagio nelle persone, più incertezze, e quant’altro… non ci sono le prove.
Circolano articoli che fanno riferimento a studi scientifici passati.
Ci sono alcuni meccanismi cellulari che sembrano essere influenzati dalla presenza delle radiofrequenze, non il 5G in particolare, studi che citano alcuni atti metabolici influenzati dai campi elettromagnetici.
Ma qualche studio parla di virus?
Ma no, quello che si sa è che il sistema immunitario, in alcune sue funzioni, soprattutto quelle correlate alla presenza del calcio, sembra che in qualche modo possa essere indebolito. Ma sono pochi studi, e non è stabilito con certezza. E a parte questo, nel caso del coronavirus, in Iran, per esempio, non credo siano così attrezzati sulle connessioni a radiofrequenza, eppure hanno una incidenza molto alta di infezione da coronavirus.
Dunque siamo di fronte a una bufala.
Quello che io penso da ricercatrice e da scienziata è che non ci sia una plausibilità certa per poter affermare tutto questo. È vero, ci sono delle realtà sociali dove le connessioni sono molto frequenti e ci sono delle esposizioni continue, ma da qui ad arrivare a dire che il virus abbia trovato un terreno fertile… a causa del 5G, poi, non so proprio come possano dirlo perché non ci sono neanche gli studi.
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Qual è la differenza tra il suo studio su sovraesposizione e tumori, e questi sopra citati?
Questi sono molto più deboli. Il nostro studio che ha riguardato le frequenze del 2G e 3G è stato fatto su 2500 ratti, è un lavoro di 10 anni, con l’analisi di qualche milione di preparati. Il risultato ha dato un’evidenza di un cancerogeno debole, ma ho sempre detto che essendoci 7 miliardi di persone esposte, la precauzione sarebbe d’obbligo.
Dunque, in una conferenza sui rischi associati al 5G non parlerebbe di coronavirus?
No, non mi sarebbe neanche venuto in mente.
E sull’influenza dell’inquinamento atmosferico sull’incidenza del Covid-19?
Nelle aree ad alto inquinamento dell’aria, ci sono molte persone che soffrono di patologie respiratorie. È logico che andando ad infettarsi con un virus che ha una specificità per l’apparato respiratorio, chi è già debole perché ha una patologia cronica anche se leggera, evidentemente ha delle conseguenze più forti. Quindi l’inquinamento è correlato non come causa diretta ma come causa secondaria. Ma anche lì, c’è chi dice che il virus si attacca ai Pm10, entra più facilmente. Io dico: dimostriamolo, avremo tutto il tempo dopo per studiare i dati che abbiamo in mano, con una casistica enorme. Il rischio va comunicato a dovere, ritengo che il ruolo della scienza sia questo. Se prove non ce n’è, evito di pronunciarmi su questi fenomeni e li ritengo anche non opportuni in questo momento.
Eppure Gunter Pauli, consulente economico del governo Conte ha pubblicato un tweet in cui ipotizza la correlazione tra 5G e coronavirus.
Gunter Pauli dovrebbe fare il suo lavoro, non quello degli altri. Nella sua posizione le voci si silenziano, ognuno il suo ruolo.