Clorpirifos in eccesso (oltre le soglie di salvaguardia) e glifosato sempre presente (seppur entro i limiti) nell’organismo di una famiglia di 4 agricoltori reggiani. Sono questi i risultati dello screening promosso da Isde-Medici per l’ambiente e condotto da Mario Franzini, Olinto Bonori e  Giulia Nasi per l’Associazione prevenzione tumori Onlus di Guastalla “Screening RE.P.-CO.B.RA – Residui di pesticidi nei coltivatori della Bassa Reggiana”. Lo studio, come spiega il sito di Cambia la terra, la campagna promossa da Federbio per dire “No ai pesticidi. Sì al biologico” – che si è svolto nel 2018 e ha coinvolto per alcuni mesi una famiglia di agricoltori – padre, madre e due figlie – che coltiva un frutteto ad alta densità di circa 7 ettari nella provincia di Reggio Emilia,  monitorandone il livello di esposizione ad alcuni pesticidi.
Le analisi (prima e dopo) i trattamenti
Nello specifico, come spiega Cambia la terra, “ogni componente della famiglia è stato sottoposto a screening: un primo dato è stato raccolto prima dell’inizio dei trattamenti con pesticidi nel frutteto, allo scopo di determinare l’eventuale presenza di residui di pesticidi nelle urine in assenza di esposizione recente. In seguito, in occasione di ogni trattamento, sono stati prelevati campioni di urina da ciascun componente della famiglia, sia prima che dopo il trattamento e a distanza di 12 e 24 ore“.
I fitosanitari monitorati nelle urine del campione sono stati cinque: tre insetticidi (imidachloprid, chlorpyrifos, permetrina) e due diserbanti (Mcpa e glifosato). Inoltre per imidachloprid, chlorpyrifos e piretroidi sono stati ricercati anche i metaboliti, ovvero le sostanze che degradano dalla molecola principale. Ricordiamo che il clorpirifos e il clorpirifos metile sono stati messi al bando da un recente voto europeo e non potranno più essere usati a partire dai prossimi giorni con l’inizio del 2020. In particolare è da evidenzaiare che il clorpirifos è un’insetticida molto utilizzato in Italia sia nelle colture degli agrumi sia in quello delle pere proprio in Emilia-Romagna.
I risultati della contaminazione
“Il dato più rilevante e inaspettato emerso dallo screening – scrive ancora Cambia la terra – riguarda il tricloridrossipiridinolo, principale metabolita del chlorpyrifos. Nel capofamiglia – peraltro l’unico a eseguire trattamenti nel frutteto – la concentrazione del Tcpyr è stata rilevata a livelli molto elevati e persistenti nel tempo, mentre è risultata nei limiti negli altri componenti. In occasione del secondo trattamento con chlorpyrifos del luglio 2018, le concentrazioni del Tcpyr nel capofamiglia sono risultate particolarmente elevate: 164,2 μg/L a distanza di 12 ore, circa 14 volte il valore limite fissato a 11,3 μg/L. Le concentrazioni sono rimaste significative per un’intera settimana. Anche a controlli successivi sono risultati livelli elevati di tcpyr: a distanza di un mese dall’ultimo trattamento avvenuto a luglio si è riscontrata una concentrazione di 57,3 μg/L . Oltre quattro mesi dopo – a dicembre –  era presente un valore doppio (22 μg/9L) rispetto al limite“.
Meno marcata la contaminazione da glifosato seppur prensente nell’organismo dei componenti della famiglia osservata: la concentrazione del famigerato erbicida considerato probabilmente cancerogeno è risultata per tutti i componenti della famiglia entro i limiti, anche se il padre ha evidenziato valori comunque superiori tra quelli del nucleo di appartenenza.
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“Patologie correlate al chlorpyrifos”
La ricerca che naturalmente non vuole avere un valore scientifico è sicuramente un interessante spunto di riflessione che mette in evidenza l’esposizione professionale e non solo ai trattamenti fitosanitari. Secondo gli autori servirebbe sensibilizzare gli agricoltori e prevedere un protocollo di esami analitici e di controlli periodici per prevenire le malattie correlate con l’uso dei pesticidi. “Nel caso specifico di questa indagine – conclude Cambiamo la terra – proprio all’utilizzo del chlorpyrifos potrebbero infatti essere collegate due patologie presenti nel capofamiglia: la degenerazione maculare della retina e l’artrite reumatoide. Malattie che, secondo numerosi studi scientifici, sono correlate con l’uso di pesticidi organofosforici, erbicidi e fungicidi”.