I centri per la procreazione assistita: “A rischio eterologa dal 29 aprile per blocco importazioni”

Dal 29 aprile potrebbe non essere più possibile importare gameti per la fecondazione eterologa in molti centri italiani preposti, pubblici e privati. A denunciarlo è il direttore della Fondazione Pma (che rappresenta i centri italiani di procreazione medicamente assistita), Gianni Baldini, in un’intervista all’Ansa: “Il ministero della Salute ricorda infatti la scadenza del 29 aprile per i centri di acquisire i certificati di conformità, ma molti centri ne sono sprovvisti per il mancato rispetto della tempistica nelle ispezioni da Regioni e Enti”. E per questo, una lettera urgente è stata inviata al ministero.

Il rischio per le importazioni

La certificazione di conformità richiesta ai centri è quella del Centro nazionale trapianti (Cnt) al fine di poter accedere all’iscrizione nel compendio europeo come centri autorizzati. Il rischio è che manchi l’autorizzazione necessaria per effettuare quei trattamenti di procreazione medicamente assistita con donazione di gameti, pratica che interessa oltre 6mila coppie ogni anno nel nostro paese. Come spiega la Fondazione, “la procreazione assistita va avanti per il 95% grazie ai gameti/embrioni importati dall’estero: la mancata autorizzazione pregiudicherebbe in maniera importante la possibilità di effettuare le prestazioni di eterologa, aggravando la situazione esistente, che già vede la persistenza di importanti flussi di ‘turismo procreativo’ (circa 10.000 sono le stime relative alle coppie, il 25% del totale dei cicli)”.

Dito puntato contro le Regioni

Secondo Baldini, “La mancata autorizzazione ai centri è però dovuta spesso al mancato rispetto della tempistica prevista dalla legge nelle ispezioni da parte delle Regioni e degli Enti preposti alla organizzazione, vigilanza e controllo. Una responsabilità della pubblica amministrazione non può avere conseguenze sui centri e le coppie”. Il direttore della Fondazione Pma, oltre a sottolineare i danni economici per i centri in questo caso, pone l’accento anche sui “significativi pregiudizi alla salute per le coppie che avessero nel frattempo avviato i trattamenti e che sarebbero costrette a interromperli”.