Non sappiamo ancora come andrà a finire il braccio di ferro tra le istituzioni europee e i lobbisti aziendali che stanno cercando di impedire la classificazione del biossido di titanio come “sospetto cancerogeno”: il voto in Commissione europea è atteso per dicembre ma vale la pena raccontare questa storia per comprendere come spesso gli interessi economici prevalgono sulla tutela della salute pubblica. E c’è da scommettere che il caso dell’additivo E171 – aggiunto in una notevole quantità di prodotti alimentari e cosmetici e dichiarato dalla Iarc come “probabile cancerogeno” già nel 2006 – non sia isolato e il dubbio resta: chissà in quanti altri episodi, magari rimasti nell’ombra, chi doveva tutelare i cittadini ha chiuso uno o entrambi gli occhi per salvare il giro d’affari di qualche grande azienda.
A portare alla ribalta il caso del biossido di titanio è stato il Corporate europe observatory (Ceo), il gruppo di ricerca che vigila sulla trasparenza in Europa, che nel bel mezzo della discussione europea iniziata a maggio di quest’anno, ha messo nero su bianco le pressioni che l’associazione dei produttori di biossido di titanio, la Tdma, ha esercitato e continua ad esercitare sulla Commissione europea. La denuncia del Ceo è chiara: la lobby dell’industria chimica sta spendendo milioni di euro per influenzare la scelta dell’Unione europea. La paura, del resto, è concreta: se dovesse passare la linea dura, i prodotti che contengono l’additivo E171 dovranno riportare un’etichetta di avvertimento e questo non gioverebbe certo alle vendite di questi prodotti. Insomma un bel danno economico: chi comprerebbe un pacchetto di caramelle sapendo che contiene un additivo sospettato di essere cancerogeno?
Che cos’è l’E171
Il biossido di titanio è uno sbiancante chimico che può essere trovato in creme solari, dentifrici, alimenti, plastica, vernici e molti altri prodotti. Nel 2006 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) dell’Organizzazione mondiale della sanità lo ha dichiarato “possibile cancerogeno per l’uomo” dopo test su animali: le evidenze scientifiche hanno dimostrato che, se inalato, il biossido può essere responsabile di tumori polmonari. Un rischio più elevato se la sostanza è utilizzata nella sua forma nanometrica: i nanomateriali sono versioni estremamente piccole di prodotti chimici esistenti e la preoccupazione è che possano accumularsi nel corpo e entrare nelle membrane delle cellule umane e influenzare la loro funzione. Un timore che non ha l’Efsa, l’Autorità per la sicurezza alimentare europea, per la quale non si tratta di un additivo “problematico”. Una conclusione ribadita ancora pochi mesi fa quando, sulla scia di tutto il clamore suscitato dall’E171, si è rifiutata di sottoporlo a una nuova valutazione di sicurezza.
Fiumi di denaro
Entro dicembre – il voto era inizialmente previsto per il 26 settembre ma è slittato e con ogni probabilità nn vedrà la luce prima del 2019 – i 28 Stati membri dell’Ue tramite il comitato di regolamentazione delle sostanze chimiche della Commissione (istituito dalla legge principale europea per la regolamentazione delle sostanze chimiche, Reach – la registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche) dovrà decidere se classificare tutte le forme di biossido di titanio (compresa la forma nano) come “sospetto cancerogeno” e inserire in etichetta dei prodotti che lo contengono un chiaro avvertimento. È in questo processo decisionale che si è inserita l’azione di lobby denunciata dal Ceo.
Il timore che un’eventuale presa di posizione restrittiva della Commissione europea possa tradursi in un decremento del giro di affari ha spinto le aziende produttrici a organizzare un’azione di pressione sulla commissione di esperti per influenzare la decisione finale. La lobby di riferimento si chiama Titanium dioxide manufacturers association (Tdma): l’associazione che riunisce i produttori di biossido di titanio, pur non presente nel registro per la trasparenza istituito dalla Commissione europea, è riuscita ad accreditarsi presso l’esecutivo e sta mettendo in campo le strategie migliori (soprattutto a suon di quattrini) per indirizzare la decisione della Commissione.
Della Tdma fanno parte diverse aziende produttrici di biossido di titanio tra cui la slovena Cinkarna Celje, la tedesca Evonik – che dichiara di spendere quasi due milioni di euro l’anno in attività di lobbying – la statunitense Venator, che ha sedi anche in Polonia e in Repubblica Ceca, e il produttore numero due al mondo, la Cristal, che ha sedi in Gran Bretagna, Francia e Belgio. La richiesta più incessante è quella di “mettere in attesa” la classificazione di biossido di titanio, “fino a quando non ci saranno informazioni più aggiornate”. Informazioni che probabilmente arriveranno con un “serio programma scientifico da 14 milioni di euro” che la stessa Tdma si è impegnata a finanziare e che “costruirà le basi scientifiche per aiutare a discutere e risolvere le molte questioni” intorno a questa sostanza.
Pur apprezzando l’entità dell’investimento economico messo a disposizione dell’associazione per comprendere fino in fondo i rischi della sostanza, come si fa a non nutrire dubbi sull’indipendenza delle conclusioni?
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