Viviamo immersi nella plastica. La ritroviamo ovunque, la vediamo nei mari, trascinata dalle acque dei fiumi, sparsa perfino sulle cime delle montagne o nelle campagne che ci ostiniamo a considerare incontaminate… Ora ci stiamo accorgendo che la mangiamo e la beviamo. E ci possiamo fare davvero poco, se non cambiano le cose. Difatti quella che arriva dagli alimenti, dalle spezie, dall’acqua e, come testimonia il lavoro del Salvagente che apre il giornale in edicola da domani, anche dalle bevande industriali, non possiamo scorgerla a occhio nudo e non siamo in grado di scansarla.
Il pericolo, in questo caso, ha un nome e una definizione scientifica precisa, anche se è solo da poco tempo che ricercatori e analisti se ne occupano, e un grado di rischio ancora in gran parte sconosciuto.
Si chiama microplastica, questa la definizione delle particelle solide insolubili in acqua di dimensioni inferiori ai 5 millimetri. Tanto piccola da non essere distinguibile e forse proprio per questo altrettanto, se non più insidiosa dei frammenti più grandi da cui deriva. Che, neppure a dirlo, sono i polimeri di maggior uso, come polietilene, polipropilene, polistirene, poliammide, polietilene tereftalato, polivinilcloruro, acrilico, polimetilacrilato.
CHI CERCA TROVA
Da qualche anno chi la cerca, a prescindere da cosa analizza, la trova. Se ne trova nella carne dei pesci che consumiamo e che ne accumulano anche quantità che fanno impressione, nei frutti di mare, nel sale marino, nelle acque (di fiumi, di rubinetto, perfino nelle minerali). Non risparmia neppure prodotti come il miele.
Inevitabile, dunque, che fosse rilevabile anche nei soft drink che abbiamo mandato nei laboratori del Gruppo Maurizi.
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Seven Up, Pepsi, San Benedetto, Schweppes, Beltè, Coca-Cola, Fanta, Sprite sono solo alcuni dei marchi finiti sotto la lente d’ingrandimento e che – con una certa sorpresa – hanno tutti fornito un responso univoco: la presenza di microplastiche non ha risparmiato alcun prodotto, tutte e 18 le bottiglie sono risultate contaminate, con valori che vanno da un minimo di 0,89 mpp/l (microparticelle per litro) ad un massimo di 18,89 mpp/l.
“Nel corso delle analisi che abbiamo effettuato per valutare la possibile presenza di microplastiche nei liquidi – ha spiegato nella conferenza stampa Daniela Maurizi, A.D. Gruppo Maurizi – abbiamo realizzato accurate prove di fondo e di bianco per verificare eventuali contaminazioni anche da parte dell’aria circostante. Tali prove garantiscono risultati affidabili secondo i protocolli vigenti per le attività di analisi di questo tipo. I dati rilevati nel nostro laboratorio confermano il legame tra inquinamento ambientale e catena alimentare”.
Segue dopo l’infografica
Se è confermato, dunque, che “chi cerca trova” stupisce che nessuno dei tè, delle cole, delle gassose, delle aranciate o delle acque toniche che abbiamo sottoposto ad analisi si sia salvato. Da dove viene e che pericolo c’è da aspettarsi da questa invisibile ma costante invasione di frammenti che finiscono nella nostra alimentazione?
I PERICOLI DELLE MICROPLASTICHE
Come potrete leggere nelle pagine del lungo servizio di copertina che abbiamo dedicato a questo argomento non ci sono risposte facili, né univoche. Se sulla provenienza delle microplastiche, tanto per fare un esempio, un ruolo fondamentale lo hanno avuto e lo hanno i cosmetici che le inseriscono di proposito (magari, ma non solo, per assicurare l’effetto scrub), oggi la catena di questa contaminazione appare molto più lunga e complessa. Come appare sempre più probabile la catena degli effetti, almeno a giudicare dai primi studi che proviamo a raccontarvi nel giornale.
L’unica cosa certa è che si tratta di un’emergenza che deve mobilitare tutti – singoli, istituzioni e industrie – per evitare di continuare ad avvelenare tutto ciò che abbiamo intorno. Nell’assurda convinzione di essere immuni dall’effetto boomerang.
SALVIAMO IL MEDITERRANEO
“Ogni anno centinaia di migliaia di tonnellate di plastica invadono il Mediterraneo” ha spiegato nel corso della conferenza stampa Gaetano Benedetto, Direttore Generale WWF Italia. “La plastica – prosegue – è un nemico invasivo e spietato e difficile da sconfiggere e che, ormai, è entrato anche nella catena alimentare. Le plastiche del Mediterraneo trasportano tra le più alte concentrazioni di organismi diversi mai registrate capaci di avere forti impatti sugli habitat marini con cui entrano in contatto. Serve un’azione decisa e immediata per evitare che il Mediterraneo soffochi nella plastica. Per questa ragione nella nostra petizione (che si può firmare su change.org/plasticfree) chiediamo che gli Stati europei vietino da subito 10 prodotti di plastica usa e getta; che venga introdotta una cauzione sui prodotti in plastica usa e getta; che siano messe fuori produzione in Italia le microplastiche da tutti i prodotti (a cominciare dai detergenti) entro il 2025, confermando il divieto delle microplastiche nei cosmetici dal primo gennaio 2020, stabilito dalla Legge di Bilancio 2018; che sia finanziato non solo il censimento degli attrezzi da pesca “fantasma”, cioè dispersi in mare ma anche il loro recupero e il corretto smaltimento”.