L’ennesimo inganno nei confronti di chi è convinto di fare del bene e invece scopre di essere raggirato. È quello che hanno scoperto i carabinieri del Noe (il Nucleo operativo ecologico) di Milano.
Al centro dell’inchiesta unaonlus fittizia che aveva collocato cassonetti gialli per i vestiti usati in un centinaio di comuni delle province di Milano, Varese, Udine e Savona e prometteva di inviarli in Africa per gli indigenti. E invece, come ha scoperto l’inchiesta condotta dal comandante Piero Vincenti, in collaborazione con la Dda (la Direzione distrettuale antimafia), i vestiti venivano venduti in Tunisia o nelle province di Napoli e Caserta .
In più, violando qualunque regola, i vestiti venivano inviati senza alcun trattamento igienizzante.
Gli inquirenti non hanno fatto il nome della onlus coinvolta, ma l’operazione ha portato in carcere per due persone, tre ai domiciliari e sei con obbligo di dimora, con l’accusa di traffico illecito di rifiuti.
Riconoscere i cassonetti non truffaldini
Quello di Milano non è di certo il primo caso che getta pesanti ombre su un settore in cui la buona volontà degli italiani rischi di naufragare nel mare di sospetti. Come aveva raccontato in una lunga inchiesta anche il mensile il Salvagente lo scorso mese.
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Una ragione che spinge le associazioni del settore a spingere per una sempre maggiore trasparenza.
Secondo Humana, per esempio, è importante che quelli che siamo abituati a conoscere come cassonetti gialli abbiano riportate tutte le indicazioni necessarie a ricostruire la filiera degli abiti usati e a dare la possibilità ai cittadini di verificarne la veridicità. L’organizzazione, che realizza interventi di cooperazione internazionale, ne ha posizionati circa 5mila in 49 province. “I nostri cassonetti riportano le indicazioni dell’intera filiera su entrambi i lati”, spiegano da Humana.
Proprio l’associazione ha appena ottenuto la certificazione di Bureau Veritas, attraverso il codice di comportamento “ESET”.
ESET è uno strumento di verifica delle filiere, dalla raccolta fino al consumo finale, che ha come obiettivo garantire l’esistenza di comportamenti realmente etici, solidali, trasparenti ed ecologici. È il primo sistema di verifica dell’intera filiera degli indumenti usati da parte di un ente terzo indipendente.
“Gli affidatari del servizio e gli operatori sani della raccolta – spiega la presidente di Humana Italia, Karina Bolin – devono allearsi per recuperare forza e protagonismo nel settore, anche grazie all’adozione di strumenti che consentano un effettivo controllo delle filiere. La fiducia dei cittadini verso il settore va protetta”.
Aggiunge Roberta Prati, direttore Certificazione Bureau Veritas Italia: “L’auspicio è che questo esempio sia seguito da altri operatori. Chi raccoglie indumenti usati promette solidarietà: è fondamentale poter sostenere con evidenze le promesse fatte e onorare il mandato del cittadino con la trasparenza”.