Si può armare una guerra sulla base di 13 (tredici) campioni? Si può assolvere (o condannare, non fa nessuna differenza) il grano straniero che finisce nella pasta italiana dopo aver fatto così poche analisi in un anno?
Chiunque ha una pur minima conoscenza della statistica (o, scegliete voi, un briciolo di buon senso) alzerebbe le sopracciglia di fronte a tanta spericolatezza. Eppure è esattamente quello che è successo in questi giorni. E tanto Repubblica che il Corriere della Sera, tanto per citare solo i due più grandi quotidiani nazionali, ci sono caduti.
Riassumiamo brevemente la storia che riguarda le micotossine, sostanze la cui tossicità è nota da tempo. In particolare da quando il Salvagente ha sollevato il problema si parla di Don, chiamato anche vomitossina perché responsabile di nausee, vomito e disturbi gastrointestinali specialmente tra i
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consumatori più giovani. Questa sostanza sicuramente è tra le più diffuse nei prodotti a base di cereali, frumento in primis. Sulla pasta esiste un doppio limite: uno per i prodotti destinati all’infanzia (sotto i tre anni) pari a 200 ppb (microgrammi per chilo) mentre per la pasta destinata agli adulti (da tre anni in su) il tetto sale a 750 ppb. E qui è il problema: considerare come adulto un bambino sopra i tre anni è una follia in termini medici, ma tant’è, i regolamenti europei lo considerano tale.
Italiano o straniero?
Il punto oggetto di tanto sacro furore giornalistico di questi tempi, però non è se sia mai concepibile che esista un limite che tutela i più piccoli di tre anni e considera come organismi adulti i nostri figli dopo il terzo compleanno. Anche perché in questo caso basterebbe scorrere le analisi fatte per anni dal Salvagente per accorgersi che la pasta non è un alimento per bambini, almeno non tutta quella sul mercato.
E non è neppure il glifosato a fare la differenza, visto che, come abbiamo già raccontato, in Italia nessun ente pubblico lo controlla sul grano.
Tutta l’attenzione, invece, si è concentrata nella disfida italiano contro straniero. Quali sono le armi letali che dovrebbero risolvere questa disfida? Il piano di controllo del ministero della Salute e le analisi che proverebbero che a prescindere dalla provenienza il grano che si utilizza in Italia è pulito.
Vediamolo, allora questo piano di controllo. A pagina 9 leggiamo
Possibile che su questa base si sia armata una polemica del genere basata su un numero tanto esiguo di analisi da dividere tra Messico, Canada, Usa e Ucraina? E cosa significa “conformi”? Che non superano le 750 ppb, ovviamente. Ma di quanto sono inferiori? Non è dato saperlo.
Nessun vincitore
E allora? Fidarsi o no del grano straniero ci chiederanno i nostri lettori?
Vale la pena ricordare da quanto ci aveva detto, poco meno di un anno fa uno dei principali studiosi italiani del settore, Carlo Brera, direttore del reparto Ogm e Micotossine dell’Istituto superiore di sanità.
A lui avevamo posto la domanda se in fatto di Don, come sostengono gli agricoltori del Sud, il grano italiano è più pulito rispetto a quello di importazione. E così ci aveva risposto: “È noto che le superfici di produzione nazionali si trovano essenzialmente al Sud, dove le condizioni climatiche (scarsa piovosità nel periodo di fioritura del grano) giocano un ruolo del tutto sfavorevole all’attacco fungino in campo ed alla conseguente produzione di micotossine. Pertanto, come dimostrano le ricerche italiane, la contaminazione media da Don nel grano duro si mantiene a livelli sicuramente molto bassi e spesso inferiori a quelli occasionalmente riscontrabili nei lotti di importazione a cui il comparto produttivo nazionale deve necessariamente ricorrere a causa dell’elevato fabbisogno nazionale”.
“Questo – conclude Brera – non significa tuttavia che esistano evidenze che il grano di importazione presenti profili di rischio diversi dal grano nazionale. Ciononostante una valorizzazione della qualità merceologica oltre a un potenziamento delle rese produttive potrebbero rappresentare una grande opportunità per il nostro paese”.
Ecco, affrontata in questo modo, magari chiedendo al ministero un piano di controlli un po’ più robusto di quello che si è limitato a 13 campioni, forse avrebbero vinto tutti. Produttori italiani di qualità, coltivatori e consumatori. “Buttandola in caciara” come si dice a Roma, invece, a vincere è solo la confusione…