Viene chiamata ludopatia (malattia del gioco) perché ormai lo stesso ministero della Salute riconosce che non è solo un fenomeno sociale, ma una vera e propria malattia che rende incapaci di resistere all’impulso di giocare d’azzardo o fare scommesse. Chi ne è affetto inizia col trascurare lo studio o il lavoro e, avendo sempre bisogno di soldi, può arrivare a commettere furti o frodi per procurarseli, a indebitarsi anche pesantemente con familiari, parenti, amici, banche fino a rivolgersi agli strozzini e cadere vittima della criminalità organizzata.
Per questa ragione il giocatore patologico può arrivare a compromettere la propria autonomia economica, essere soggetto a rovesci finanziari nei quali coinvolge la propria famiglia, a compromettere i rapporti interpersonali e coniugali (fino al divorzio), a perdere il lavoro.
Giro d’affari dai 88 miliardi
La ludopatia è una dipendenza, un disturbo compulsivo che può portare a forme di depressioni anche gravi e al suicidio. Secondo il ministero della Salute, il disturbo nei maschi inizia già nell’età adolescenziale mentre nelle donne inizia più tardi, dopo i 20 anni. Purtroppo il gioco d’azzardo è divenuto un processo industriale, come ci spiega il sociologo Maurizio Fiasco, presidente di Alea (Associazione per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio): “Si tratta di un’organizzazione basata sulla costruzione della domanda e la fidelizzazione dei clienti che avviene favorendo la dipendenza dal gioco poiché non esistono norme di cautela a salvaguardia della salute”. D’altro canto si tratta di un business tra i più fiorenti: in Italia il giro d’affari è di 88 miliardi di euro l’anno, ottuplicato nell’arco degli ultimi 20 anni (nel 2000 erano 20.000 miliardi di lire).
Dal Totocalcio al web
Il mondo del gioco d’azzardo era rimasto lo stesso fino alla metà degli anni Novanta, quando sono cambiate le strategie industriali e finanziarie: non è più questione di biscazziere e pollo da spennare ma di un enorme business industriale complesso ad alto livello tecnologico. Ci spiega Fiasco: “Fino a metà degli anni 90 c’erano poche modalità di gioco, a bassa frequenza, distanti dai luoghi della quotidianità e dai tempi della vita. C’erano 4 Casinò ai confini dello Stato, una trentina di ippodromi fuori dalle città, l’appuntamento del sabato per il gioco del Lotto, il Totocalcio e il Totip. A questi si aggiungeva il sottobosco composto da qualche bisca clandestina o luoghi in cui si prendevano scommesse, allibrate clandestinamente. La soglia di accesso al gioco era elevata. Oggi invece il gioco ti viene a cercare, è ovunque (ci sono i Casinò online, puoi giocare da pc o da smartphone), – ad altissima frequenza, ci si entra senza sforzo perché la soglia è bassissima e impegna sempre più denaro e tempo di vita perché è velocissimo e scarsamente remunerativo, con premi polverizzati, ovvero tanti piccoli premi che servono a gratificare i giocatori”.
Dipendenza indotta
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E il rischio aumenta. Per diventare dipendenti è infatti necessaria una gratificazione del giocatore come dimostrano gli studi psicologici. L’euforia del momento fa alterare i processi cognitivi e così il gioco prende tutti: uomini e donne, anziani e ragazzi, anzi il 40% dei ragazzi tra i 14 e i 18 anni ne è preda, considerando che i minorenni non sanno riconoscere la differenza tra gioco di abilità e gioco di fortuna e credono di essere bravi quando vincono, per cui giocano per mettersi alla prova e, se non riescono, restano talmente frustrati da cadere in depressione. Chi è affetto da ludopatia – giovane o anziano che sia – non si rende conto di ciò che gli accade, non riconosce il problema e quindi è necessario l’intervento dei familiari che devono prospettargli una psicoterapia.
Troppa offerta
La ludopatia ha la sua causa nell’offerta capillare, perfezionata, che porta a una dipendenza studiata a tavolino. Con un costo sociale enorme che va da quello diretto della terapia a quello indiretto come l’assenza del posto di lavoro, i conflitti familiari, ecc. È sempre Fiasco a fare una proposta: nel corso della giornata dovrebbe essere lo Stato a fare in modo di “spegnere la macchina” ovvero trovare momenti privi di tentazione, creare luoghi e giorni senza azzardo. Già, lo Stato. Lo stesso che guadagna circa 10 miliardi ogni anno da questo settore. C’è da giurare che non intenda rinunciare neppure a una goccia di questo afflusso…