Controllata di Dior sotto accusa: borse prodotte con lavoratori sfruttati

dior

Ancora un’inchiesta che ruota attorno allo sfruttamento dei lavoratori portata avanti dal Pm Paolo Storari del Tribunale di Milano. Questa a finire sotto amministrazione giudiziaria è Manufactures Dior, accusata di utilizzare opifici con lavoratori cinesi irregolari per produrre borse carissime sul mercato.

Ancora un’inchiesta che ruota attorno allo sfruttamento dei lavoratori portata avanti dal Pm Paolo Storari del Tribunale di Milano. Questa a finire sotto amministrazione giudiziaria è Manufactures Dior, accusata di utilizzare opifici con lavoratori cinesi irregolari per produrre borse carissime sul mercato.

Il classico gioco dei subappalti

Manufactures Dior srl è una società controllata dalla famosa maison dell’alta moda. Secondo gli inquirenti, sarebbe emerso che “la casa di moda affidi, attraverso una società in house creata ad hoc per la creazione, produzione e vendita delle collezioni di moda e accessori, mediante un contratto di fornitura, l’intera produzione di parte della collezione di borse e accessori 2024 a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi”. E fino a qui nessuna irregolarità. Il sistema di appalti e subappalti è comune in tutti i settori. L’azienda fornitrice disporrebbe, però, “solo nominalmente di adeguata capacità produttiva” e avrebbe a sua volta affidato le commesse a “opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere i costi ricorrendo all’impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento”.

“Borse fatte da operai cinesi a 53 euro e rivendute a 2.600”

L’abbattimento del costo di produzione non si riversava poi sul prezzo finale, anzi: Una borsa prodotta da un opificio cinese alla committente Dior per un costo di 53 euro veniva rivenduta al dettaglio a 2.600 euro. 

I controlli delle forze dell’ordine

Quattro opifici, nelle province di Milano e Monza e Brianza, sono “tutti risultati irregolari” e in essi “sono stati identificati 32 lavoratori di cui sette tra occupati in nero di cui due clandestini sul territorio nazionale”. Negli stabilimenti di produzione “effettiva e non autorizzata” è stato riscontrato, rendono noto i carabinieri, “che la lavorazione avveniva in condizione di sfruttamento (pagamento sotto soglia, orario di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri), in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (omessa sorveglianza sanitaria, omessa formazione e informazione) nonché ospitando la manodopera in dormitori realizzati abusivamente ed in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico”.

Denunciati titolari di aziende cinesi

Sono stati denunciati, a vario titolo, per caporalato e altro ben cinque titolari di aziende di diritto o di fatto di origine cinese nonché due persone non in regola con la permanenza e il soggiorno sul territorio nazionale. Infine sono state comminate ammende pari a 138.000 euro e sanzioni amministrative pari a 68.500 euro e per quattro aziende è stata disposta la sospensione dell’attività “per gravi violazioni in materia di sicurezza e per utilizzo di lavoro nero”.

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L’utilizzo di “cartiere” per produrre le pezze d’appoggio

Nel procedimento penale per caporalato e per emissione di fatture false per operazioni inesistenti è stata individuata anche una società “cartiera” regolarmente autorizzata dal brand alla sub-fornitura che non provvedeva in concreto alla realizzazione dei manufatti ma rappresentava “un mero serbatoio di lavoratori, i quali una volta assunti venivano impiegati mediante distacco direttamente presso la società appaltatrice lasciando di fatto gli oneri fiscali, contributivi e retributivi a carico della distaccante, così abbattendo i costi da lavoro. Pertanto – spiegano gli investigatori – è stata individuata anche una fatturazione per operazioni inesistenti a carico della ditta sub-appaltatrice”. Un meccanismo che ricorda quello messo sotto accusa in un’altra recente indagine guidata dal Tribunale di Milano, in quel caso contro Gs società che controlla il marchio Carrefour.

Il Pm: Manufactors Dior non ha controllato le società a cui si è affidata

Le conclusioni del tribunale di Milano sono che Manufactures Dior srl “non ha verificato la reale capacità imprenditoriale delle società appaltatrici, alle quali affidare la produzione e non ha nel corso degli anni eseguito efficaci ispezioni o audit per appurare in concreto le effettive condizioni lavorative e gli ambienti di lavoro. I modelli organizzativi e gestionali della società, almeno allo stato, si sono nel concreto rivelati inadeguati”.

Il sistema di appalti e subappalti a piccole ditte cinesi lo avevamo raccontato anche nell’inchiesta che il Salvagente nel 2023 aveva dedicato al settore dei mobilifici.

 

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