Caporalato, l’accusa dei Comuni: migranti ghettizzati per aumentare profitti

CAPORALATO

L’Anci, l’Associazione nazionale dei comuni italiani, e il ministero del Lavoro hanno presentato il primo rapporto “Le condizioni abitative dei migranti che lavorano nel settore agroalimentare”: 10mila lavoratori vivono nell’indigenza, in ghetti senza acqua né servizi: “Condizioni che producono sfruttamento”

Sono 10mila i migranti impiegati in agricoltura che vivono in ghetti senza acqua, elettricità e servizi di trasporto. Condizioni di vita che producono “sfruttamento” con  “un conseguente innalzamento dei margini di profitto” per le aziende agricole che li usano nei campi e nelle serre. Il fenomeno è talmente diffuso lungo la Penisola da sovvertire qualsiasi stereotipo: è infatti il Piemonte la regione con il più alto numero di comuni che dichiarano “la presenza di migranti occupati nel settore agro-alimentare che vivono in strutture alloggiative formali”: ben il 18%. Al secondo posto la Sicilia (12,6% delle amministrazioni) e poi la Puglia (9,9%).

Il quadro emerge dal primo RapportoLe condizioni abitative dei migranti che lavorano nel settore agroalimentare” pubblicato dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e dall’Anci, l’Associazione nazionale dei comuni italiani, nell’ambito del Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato 2020–2022.

“Insediamenti informali e fenomeni di ghettizzazione – si legge nel rapporto – non sono quindi problematiche esclusivamente abitative e non riguardano solo i migranti ma aggravano le condizioni lavorative, economiche e sociali di interi territori.

L’indagine condotta tra ottobre 2021 e gennaio 2022 sui lavoratori migranti dell’agro-alimentare sia stagionali che stanziali ha coinvolto 3.851 amministrazioni locali (poco meno della metà del totale) chiedendo loro dati su presenze, insediamenti e servizi presenti sul territorio. Sono 38 i comuni che hanno segnalato la presenza di 150 insediamenti informali o spontanei non autorizzati, con sistemazioni varie (casolari e palazzi occupati, baracche, tende e roulotte) e presenze che vanno dalle poche unità registrate nei micro-insediamenti, alle migliaia di persone nei ghetti più noti alle cronache.

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Condizioni di vita che agevolano il caporalato

“Questo Rapporto non è la semplice mappatura di come i migranti vivono e lavorano nei nostri campi, ma restituisce in maniera più ampia il modo in cui sui nostri territori, oggi, riconosciamo o neghiamo dignità a quelle vite e a quel lavoro“, scrivono nella prefazione del Rapporto il ministro del Lavoro, Andrea Orlando e il presidente dell’Anci, Antonio Decaro. “Troppo a lungo abbiamo portato il peso di luoghi che negano i nostri principi costituenti e il rispetto dovuto a ogni essere umano. Li abbiamo, etimologicamente, tollerati. Non possiamo e non vogliamo più sostenere quel peso. Riconsegniamo ovunque alle parole ‘casa’ e ‘lavoro’ il senso che dovrebbero avere”.

In questi vere e proprie baraccopoli sono assenti in almeno il 90% degli insediamenti  servizi di assistenza socio-sanitaria, il supporto legale, la rappresentanza sindacale e gli interventi di integrazione socio-lavorativa. Tutte condizioni che agevolano la piaga del caporalato.