Nel numero in edicola del Salvagente abbiamo portato in laboratorio 18 campioni di latte artificiale alla ricerca di micotossine e le abbiamo trovate in 15 campioni, ben oltre la metà . Ma le micotossine non sono l’unico ingrediente sgradito (e nascosto) delle formule che finiscono nei biberon. Il professore Alberto Ritieni dell’Università di Napoli ci ha spiegato, infatti, che nel suo laboratorio ha analizzato alcuni campioni di latte artificiale trovandoci residui di farmaci e antibiotici. Con quale rischio per i piccoli bambini ancora ignoti, ma non di certo positivi. Ospitiamo un contributo di Ruggiero Francavilla, pediatra, gastroenterologo Università degli Studi di Bari.
“Gli antibiotici sono ampiamente utilizzati come agente antibatterico nei prodotti lattiero-caseari e nei mangimi per animali da cortile che possono indurre la deposizione di residui di antibiotici nel latte. Si stima che l’80% del consumo totale di antibiotici nel USA sia destinata a quest’uso. Nel 2011, 13.600 tonnellate di antibiotici sono state vendute sul mercato interno statunitense per l’utilizzo in animali da produzione alimentare mentre solo 3.290 tonnellate di antibiotici sistemici sono state vendute per il consumo umano. Uno studio pubblicato nel 2013 ha ricercato la presenza di 43 residui di antibiotici in campioni di latte crudo raccolti in 10 province della Cina e i risultati hanno mostrato alte concentrazioni medie di 21 antibiotici.
Qualcuno, bevendo un bicchiere di latte o mangiando una bistecca si è mai preoccupato dei residui di antibiotico?
Anche se mancano prove convincenti e quantitative, i principali rischi legati alla presenza di residui di antibiotici negli alimenti sono: a) la resistenza agli antibiotici che possono trasferirsi ai consumatori attraverso la rete alimentare, b) il rischio che i consumatori possono sviluppare reazioni allergiche acute a residui di antibiotici di origine alimentare e c) le conseguenze sul microbiota intestinale (quella miriadi di batteri intestinali che vivono in simbiosi con il nostro organismo e dal cui equilibrio dipende strettamente la nostra salute).
Purtroppo, i pericoli per la salute legati ai residui di antibiotici e la resistenza agli antibiotici non sono ancora ben compresi, e sempre più studi hanno gradualmente scoperto che la presenza di antibiotici nel cibo ha un rapporto che non può essere ignorato. Infatti, l’uso di antibiotici nella catena alimentare può comportare una forte pressione selettiva sul microbiota intestinale umano e può portare a cambiamenti genetici o mutazionali in batteri normalmente sensibili, permettendo ai batteri di sopravvivere e di proliferare e diventare batteri resistenti agli antibiotici. A conferire tale resistenza sono alcuni elementi genetici mobili (plasmidi, integroni e profagi) capaci di diffondere questa informazione genetica ad altri batteri anche patogeni (trasferimento genico orizzontale). Le resistenze agli antibiotici sono associate all’aumento del ricovero ospedaliero di pazienti infettati da tali agenti patogeni resistenti, che può portare al fallimento del trattamento e alla mortalità a causa della ridotta efficienza nell’uso terapeutico degli antibiotici. Uno studio rivoluzionario pubblicato nel 2001 ha dimostrato che la pratica routinaria di somministrare agenti antimicrobici al bestiame domestico come mezzo per prevenire e curare le malattie e promuovere la crescita è un fattore importante nella comparsa di batteri resistenti che sono successivamente trasferiti agli esseri umani attraverso il cibo… e in quella occasione il batterio in causa era una Salmonella. Questa è stata la prima volta che gli scienziati hanno sostenuto che la maggior parte delle infezioni da Salmonella resistente agli antibiotici si acquisisce mangiando cibi contaminati di origine animale. In seguito, altri risultati sperimentali hanno rilevato che altri pericolosi ceppi batterici resistenti, possono essere trasferiti al corpo umano attraverso vettori alimentari.
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In questi ultimi anni, gli scienziati hanno dimostrato che, l’esposizione a basse dosi di antibiotici (vale a dire, il consumo a lungo termine di alimenti con una bassa concentrazione di residui di antibiotici) è associato a molti problemi legati alla salute umana, tra cui l’obesità , la cancerogenicità , la riproduzione e la teratogenicità . I residui degli antibiotici potrebbero interferire con l’azione dei farmaci, causare reazioni allergiche, alterare la normale composizione del microbiota intestinale con importanti conseguenze sulla salute. Una volta entrati nel corpo umano, i residui di antibiotici interagiscono con il microbioma umano e l’assunzione giornaliera di residui può entrare in gran parte nel tratto gastrointestinale umano, dove sono abitate circa 800-1000 specie batteriche diverse e più di 7000 ceppi diversi. Di questi microbi, il 95% sono batteri benefici, altri sono patogeni opportunistici, e sono pochi i batteri nocivi. Studi osservazionali, clinici ed epidemiologici hanno fornito prove crescenti che le esposizioni agli antibiotici sono fortemente associate a cambiamenti nella composizione microbica intestinale a causa dell’influenza ad ampio spettro sulla comunità microbica associata all’ospite piuttosto che su un solo batterio bersaglio. La terapia antibiotica potrebbe portare a cambiamenti nella composizione del microbiota intestinale con uno sbilanciamento delle specie batteriche che potrebbero persistere nell’intestino umano per anni. Una volta che si verifica uno squilibrio del microbiota possono manifestarsi patologie secondarie alla proliferazione di batteri nocivi e di agenti patogeni opportunistici, o dovute a profondi squilibri metabolici con il conseguente sviluppo di varie malattie come i disturbi intestinali, l’obesità fino al cancro colorettale.
Il vero problema è che, a differenza di altre forme di esposizione, i consumatori non hanno per ora un modo affidabile per sapere in anticipo se il gli alimenti che consumano contengono residui di antibiotici o ceppi batterici resistenti agli antibiotici. Questo sottolinea l’importanza di condurre indagini su larga scala su residui di antibiotici negli alimenti in commercio anche alla luce dell’evidenza che, le varie pratiche igieniche, i trattamenti termici ed i vari metodi di preparazione e trasformazione alimentare non eliminano i residui e le concentrazioni di alcuni residui di antibiotici possono anche aumentare.
Da pediatra, ritengo che la massima attenzione deve essere diretta al bambino che ha un organismo in crescita e risente massimamente di tutte le possibili interferenze che possono causare alterazioni anche minime nel suo sviluppo. Per il bambino vige il principio di precauzione che sancisce la difesa del bambino da qualsivoglia anche solo ipotetico pericolo. La nutrizione infantile deve salvaguardare il nostro futuro, quello della nostra specie, dobbiamo essere lungimiranti nel fare crescere una prossima generazione forte anche perché, se non ci responsabilizziamo e se non proviamo a cambiare rotta, si stima che entro il 2050 potremmo contare almeno 10 milioni di morti per il fenomeno della resistenza agli antibiotici”.