Taranto, diossina nel latte materno superiore del 28% rispetto alla provincia

BENZENE ILVA

Nel latte materno delle donne residenti a Taranto e Statte la concentrazione di diossine è superiore del 28% rispetto alle donne residenti in provincia. È questo il dato più allarmante che scaturisce non dalle analisi commissionati dai comitati civici ma dal biomonitoraggio ufficiale condotto dall’Istituto superiore di Sanità in collaborazione con la Asl locale e durato tre anni.

Lo studio commissionato da Ilva all’Istituto superiore di sanità, che lo ha realizzato in collaborazione con il Dipartimento prevenzione della Asl di Taranto, era previsto dal decreto del ministero dell’Ambiente del 2012 con il quale si imponeva il riesame dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) per l’esercizio dello stabilimento siderurgico prevedendo, con una specifica norma, la realizzazione di un biomonitoraggio per determinare la concentrazione di diossine e Pcb nel latte materno nella zona di Taranto.

Marescotti (Peacelink): “Serve una BioBanca”

Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, professore di Lettere e soprattutto testa e pancia dell’ambientalismo a Taranto: “Un dato purtroppo atteso visto i risultati delle indagini su matrici biologiche effettuate in questi anni dai diversi comitati e associazioni civiche. Quello che serve ora è istituire una Bio Banca (di sangue, urine, cordone ombelicale, latte materno, liquido amniotico, capelli, tessuti) già attiva in altre città italiane sotto la responsabilità della autorità regionali, che possa contenere e registrare le prove di quanto sta avvenendo a causa dell’inquinamento“.

Tornando al biomonitoraggio, per realizzare lo studio sono stati raccolti e analizzati complessivamente 150 campioni di latte, 76 appartenenti al gruppo delle donne residenti a Taranto e Statte, e 74 appartenenti al gruppo delle donne residenti in provincia, in un’area quindi di controllo localizzata a più di 30 km da Taranto. Le donne arruolate avevano caratteristiche simili: primipare di età compresa tra i 25 e i 40 anni e residenti in zona da almeno dieci anni. Nello specifico nel latte materno delle residenti a Taranto e Statte le concentrazioni degli inquinanti sono risultate più elevate, in modo statisticamente significativo, di quelle rilevate nelle donne residenti in provincia con un aumento compreso tra il 18 e il 38% a seconda delle sostanze considerate (diossine, Pcb diossina-simili e Pcb non diossina-simili) e pari al 28% per l’insieme delle sostanze ad azione diossina-simile.

“Interventi sulla fonte e avviare la bonifica”

Secondo i correnti approcci di valutazione, hanno spiegato i responsabili del biomonitoraggio, le concentrazioni di diossine e Pcb in entrambi i gruppi di donne sono associabili a una bassa probabilità di effetti avversi per la salute. Elena De Felip del Dipartimento ambiente e salute dell’Istituto superiore di sanità ha spiegato: “L’esposizione delle donne residenti nell’area urbana è risultata più alta ed è sovrapponibile a quella riscontrata in studi simili in altre zone industrializzate in Italia“. E ancora: “Il confronto con i risultati di altri studi di biomonitoraggio effettuati negli anni precedenti a Taranto e provincia suggerisce inoltre che nel tempo ci sia stata una riduzione dell’esposizione a queste sostanze”.

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Una posizione alla quale replica Marescotti: “La difformità delle concentrazioni riscontrate tra centro e periferia mostra che, nonostante tutti gli interventi intrapresi in questi anni che sicuramente hanno ridotto l’inquinamento, la contamianzione alimentare, la fonte primaria d’esposizione alle diossine, è ancora evidente e per questo occorre intervenire ultieriormente sulla fonte primaria, il camino dell’Ilva, e avviare il prima possibile la bonifica delle aree“.