Il ritiro dal mercato di capi d’abbigliamento per bambini contaminati (nelle parti in pelliccia) da sostanze chimiche ha fatto giustamente scalpore. Come abbiamo raccontato, il provvedimento da parte del ministero della Salute è scattato dopo la denuncia della Lav che, sottoponendo a test i prodotti, aveva rilevato le sostanze vietate poi riscontrate anche dalle verifiche ministeriali.
Sul tema, la Gazzetta di Modena ha sentito gli esperti di due laboratori di analisi di prodotti tessili del modenese, zona in cui ha sede l’azienda che produce capi su licenza del marchio Blumarine Baby. Sia Pierpaolo Cianci che Emilio Bonfiglioli (i due esperti intervistati) confermano che in Italia, così come nel resto d’Europa, esistono regole precise sul tessile, con liste di sostanze vietate perché pericolose per la salute. Il problema, dunque, non sta nella disciplina bensì sui controlli, quasi inesistenti nel nostro paese.
Mentre in Germania, ad esempio, i (continui) controlli non risparmiano bancarelle, negozi e megastore, in Italia i prodotti tessili circolano tranquillamente contando su un fattore di rischio di controllo davvero bassissimo.
Tanto è vero, riporta l’articolo del quotidiano, che chi vende tessuti o pelli a produttori italiani di solito chiede se la merce è destinata a rimanere in Italia o deve essere esportata. La risposta è fondamentale, dato che la merce che rimane entro i nostri confini – come detto – può contare in una sorta di impunità , mentre quella che va all’estero andrà molto probabilmente incontro a controlli sanitari accurati.
A tutto danno, ovviamente, dei consumatori italiani che restano privi di qualsiasi tutela.
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