Gli ftalati, le sostanze chimiche comunemente presenti nei prodotti per l’igiene personale, nella lavorazione e confezionamento degli alimenti e negli articoli per la casa, potrebbero essere collegati ad un ritardo nel linguaggio dei bambini. E’ quanto emerge da uno studio pubblicato lunedì su JAMA Pediatrics.
La ricerca, condotta negli Stati Uniti e in Svezia, ha esaminato i livelli di ftalati nelle donne in gravidanza in relazione allo sviluppo del linguaggio nei loro bambini.
Gli ftalati sono un gruppo di sostanze chimiche presenti in centinaia di prodotti, dai giocattoli ai pavimenti passando per lo smalto per unghie e i profumi: vengono utilizzati per rendere più resistenti le materie plastiche. Tra le donne con un’alta esposizione e quello con una bassa esposizione agli ftalati il rischio è risultato doppio. Lo studio ha coinvolto 963 bambini e madri provenienti dalla Svezia, che hanno partecipato allo studio svedese Selma e 370 madri e bambini provenienti dagli Stati Uniti, che hanno partecipato allo studio Tides.
I ricercatori hanno prelevato campioni di urina dalle madri nelle prime gravidanze, che sono stati misurati per la presenza di ftalati. Un questionario è stato compilato dai genitori sullo sviluppo del linguaggio dei loro figli a 30 mesi in Svezia e quando avevano almeno 2 anni negli Stati Uniti. I bambini con un vocabolario composto da meno di 50 parole sono stati classificati con un ritardo nel linguaggio. Due gli ftalati che sono particolarmente associati ai ritardi del linguaggio: il dibutilftalato e il butilbenzilftalato.
Dove si trovano gli ftalati?
I giocattoli di plastica sono tra i prodotti che possono contenere ftalati. Una recente ricerca ha evidenziato che un quinto dei campioni di giocattoli venduti in Europa sono contaminati. Anche il cibo da fast food non è da meno. I ricercatori dell’università George Washington degli Usa hanno analizzato in 8877 persone la concentrazione urinaria di due ftalati molto diffusi, il DEHP e il suo sostituto il DINP e hanno constatato che la quantità più elevata si poteva misurare nelle persone che avevano consumato un pasto al fast food fino a ventiquattro ore prima della prova.
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