
Una ricerca condotta dall’università di Napoli Federico II su mille persone non intolleranti al glutine fa luce sul fenomeno: chi compra questi prodotti è convinto (erroneamente) che siano più sani e crede di essere più informato degli altri
Cosa c’è dietro il boom dei cibi senza glutine che hanno conquistato sempre più scaffali nei supermercati? Molto spesso chi compra questi prodotti non lo fa perché ha ricevuto una specifica indicazione medica, ma perché è convinto che siano più sani. E questa convinzione non è basata su una reale conoscenza alimentare, ma su convinzioni errate, dure da contrastare. È quanto emerge da una nuova ricerca condotta da un team dell’università di Napoli Federico II, pubblicata sulla rivista internazionale Scientific Reports (Nature Portfolio), che getta nuova luce sulle motivazioni dietro la scelta del gluten-free e sulle conseguenze di questa tendenza.
I dettagli dello studio
Lo studio, coordinato dal professor Francesco Caracciolo, docente di Food Marketing & Consumer Science, ha analizzato le motivazioni alla base delle scelte di circa mille consumatori non celiaci. I risultati mettono in luce un fenomeno sorprendente: molti scelgono il gluten-free non per motivi medici, ma per una fiducia eccessiva nelle proprie conoscenze nutrizionali. Il 32% degli intervistati rientra in un profilo psicologico ben preciso: scarso livello di conoscenze nutrizionali, ma convinzione di sapere abbastanza per fare scelte alimentari corrette. È l’effetto Dunning-Kruger, un meccanismo cognitivo secondo cui meno si sa, più si è sicuri di sapere. Questo gruppo, definito dagli autori “incompetenti sovraconfidenti”, è anche quello più incline a consumare prodotti senza glutine senza alcuna necessità medica. A peggiorare la situazione si aggiunge un mix pericoloso: tratti narcisistici (che spingono a sopravvalutarsi) e un’elevata adesione a teorie complottiste sull’industria alimentare. In sintesi, si tratta di consumatori vulnerabili, facilmente influenzabili dal marketing e spesso ignari dei propri limiti.
Lo studio mette in discussione l’idea diffusa che il consumo gluten-free sia sempre sinonimo di benessere, e invita a una riflessione più ampia sull’educazione alimentare e sulla fiducia nelle fonti scientifiche.
Il problema non è solo economico – i prodotti senza glutine costano in media di più – ma anche nutrizionale: molti di questi alimenti presentano una qualità nutrizionale inferiore perché, in sostituzione del glutine, contengono una maggiore quantità di amido e zuccheri, e dall’altro lato meno fibre e meno proteine rispetto agli equivalenti convenzionali.
Intervista al professore Francesco Caracciolo
“Molti pensano di fare scelte salutari – commenta al Salvagente il professor Caracciolo – in realtà si espongono a prodotti più costosi, spesso meno gustosi e con minore valore nutrizionale, senza alcun beneficio reale per la salute”.
Il professore ci ha spiegato che, attraverso una decina di domande molto semplici sull’alimentazione (ad esempio “contiene più calorie la panna montata o quella liquida?”) è stato misurato il grado di conoscenza oggettiva degli intervistati che è stato poi incrociato con il grado della propria consapevolezza soggettiva. È emerso con evidenza un gruppo di persone che acquista questo tipo di cibi perché è convinto, erroneamente, che facciano meno male.
“Si tratta di persone vulnerabili, ma con cui è difficile confrontarsi perché credono poco a notizie scientifiche mentre si convincono facilmente di teorie o legende che circolano attorno ai temi alimentari – spiega Caracciolo – Queste persone, spesso compiono scelte irrazionali basate su comunicazioni non verificate, che magari vengono veicolate sui canali social. Voglio citare anche il caso della pasta: negli ultimi anni si sta registrando un netto calo dei consumi di pasta, legato anche alla diffusione di comunicazioni superficiali su eventuali effetti negativi di un prodotto che per anni è stato alla base della nostra alimentazione. Stessa storia per il lattosio. Non abbiamo ancora condotto uno studio specifico sui prodotti senza lattosio, ma sono sicuro che evidenzierebbe dei risultati simile a quello dei cibi senza glutine. Purtroppo una tendenza diffusa è quella di credere che l’aggettivo “senza” sia automaticamente associato ad un cibo più salutare. Ma non è così. E i lettori più consapevoli molto probabilmente sanno che non c’è un motivo specifico di comprare prodotti senza glutine se non abbiamo una forma di intolleranza.
La colpa è delle strategie di marketing o di qualcos’altro?
“A mio avviso, alla base di questa tendenza c’è anche un ricorso sempre più diffuso al nutrizionista, che viene consultato anche semplicemente per avere una maggiore consapevolezza alimentare. Ho la percezione che molti di loro, forse per assecondare le volontà dei pazienti, forniscono di frequente indicazioni di privazione verso alcuni cibi o categorie di cibi. Si ricorre quindi più facilmente a scelte alimentari drastiche, che magari velocizzano anche la perdita di peso, invece che intraprendere percorsi più lenti e specifici per il singolo individuo. Sul lattosio, ad esempio, quasi tutti abbiamo delle leggere intolleranze quindi è facile prenderlo come bersaglio, mentre sappiamo che un consumo normale di latticini non crea nessun problema. È quindi fondamentale promuovere una comunicazione scientifica più efficace e accessibile, per guidare i consumatori verso decisioni più consapevoli. A volte informare non basta perché chi è troppo sicuro delle proprie (scarse) conoscenze tende a ignorare le informazioni corrette. Servono strategie comunicative mirate, capaci di superare la barriera della sovrastima”.









