Vietare definitivamente e in maniera permanente la produzione, la commercializzazione e l’uso di tutti i prodotti a base di glifosato. È quanto chiedono Aiab e Firab (Federazione italiana per la ricerca in agricoltura biologica) in un manifesto – già sottoscritto da una decina di associazioni oltre che dal nostro mensile – rivolto al governo italiano, ai ministri competenti e al Parlamento.
L’appello italiano segue due altre iniziative pregresse: il documento inviato da ISDE (i Medici per l’ambiente) alle istituzioni europee per chiedere il bando totale dell’erbicida (Linking Human Health and the Environment), nonché la presa di posizione di Francia, Olanda e Brasile che per prime hanno messo al bando l’erbicida, dopo che l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) lo ha classificato – a marzo di quest’anno – come “probabile cancerogeno per l’uomo”. La decisione dell’Agenzia ribalta quella dell’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente che nel 1991 aveva inserito – smentendo una sua precedente valutazione – il glifosato nel gruppo E delle “sostanze che non hanno dimostrato potenzialità cancerogene in almeno due studi su animali, condotti in modo adeguato su specie diverse, o sia in studi animali che epidemiologici”.
LA CLASSIFICAZIONE DELLO IARC
Tra i “probabili cancerogeni” (2A, il secondo gruppo per pericolosità), si contano 66 sostanze per le quali lo Iarc ha constatato una limitata evidenza di cancerogenicità nell’uomo e sufficiente evidenza nell’animale da esperimento. Decisivo, per l’inserimento in questo gruppo dell’erbicida, uno studio pubblicato su The Lancet Oncology che, dopo tre anni di ricerche coordinate da 17 esperti in 11 paesi, ha rivelato una forte correlazione epidemiologica tra l’esposizione al glifosato e il linfoma non-Hodgkin. In aggiunta ai già noti aumenti di ricorrenza di leucemie infantili e malattie neurodegenerative, parkinson in testa.
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Il glifosato è un erbicida non selettivo impiegato sia su colture arboree che erbacee e aree non destinate alle colture agrarie (industriali, civili, argini, scoline, ecc.). È attualmente utilizzato in 750 prodotti per l’agricoltura: tra quelli che lo contengono come principio attivo il più noto è certamente il Roundup della Monsanto, una miniera d’oro per gli affari della multinazionale di biotecnologie agrarie. Basti pensare che secondo le stime della US Geological Survey, il consumo dell’erbicida è passato dai 50 milioni di tonnellate del 2002 ai 128 del 2012, e la tendenza è quella di crescere, perché le piante infestanti sono sempre più resistenti e quindi hanno bisogno di dosi maggiori della sostanza per avere lo stesso effetto.
CHI CERCA… TROVA
Il tutto a danno della nostra salute. Agricoltori, semplici passanti e altri operatori possono essere esposti a questa sostanza durante le applicazioni. Non solo, la contaminazione può riguardare i prodotti dell’agricoltura e anche la catena alimentare, dal latte alla carne.
“Come evidenziato dalla letteratura scientifica, questo composto tossico fa aumentare il rischio di malformazioni congenite, problemi riproduttivi, infertilità, danni al sistema nervoso centrale, Parkinson e alcune importanti neoplasie. Quello che non sappiamo è quantificare il livello di esposizione cronica a questa sostanza nella popolazione generale e metterlo in relazione con le numerose patologie conosciute, in particolare quelle degenerative” spiega a il Test Carlo Modonesi, docente dell’Università di Parma.
Ma c’è un altro paradosso. Nonostante il glifosato sia un probabile cancerogeno per l’uomo (oltre che un cancerogeno accertato per gli animali) e la sua presenza nelle acque sia ampiamente confermata anche da dati internazionali, in Italia il suo monitoraggio è effettuato solo in Lombardia, dove la sostanza è presente nel 31,8% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali e il suo metabolita, Ampa, nel 56,6%.
L’edizione 2014 (relativa agli anni 2011 e 2012) del rapporto sui pesticidi nelle acque a cura di Ispra, annovera il glifosato al terzo posto tra le sostanze più frequentemente rilevate nel monitoraggio delle acque superficiali e in molti casi la quantità supera gli standard di qualità ambientale: questo significa che laddove è cercato – lo ripetiamo, solo in Lombardia – è il pesticida più presente.
I motivi per cui il glifosato non rientra tra i circa 200 contaminanti che l’Ispra monitora sono vari: “La valutazione è fatta dal ministero dell’Ambiente di concerto con le Aziende regionali di protezione ambientale. Evidentemente fino a oggi si è preferito dare la precedenza al controllo di sostanze ritenute più pericolose, oppure il cui rapporto costi/benefici è migliore, ma è certo che si tratta di una scelta discutibile che presta il fianco a molte dietrologie” afferma Modonesi aggiungendo che “con la nuova classificazione dello Iarc, l’Ispra dovrebbe prendere seriamente in considerazione la necessità di introdurre l’erbicida tra le sostanze “obbligatorie” da monitorare. È inconcepibile che la presenza di una sostanza di cui è stata appurata la cancerogenicità non sia monitorata nelle acque”.