È uno dei termini più gettonati dalle industrie alimentari e attrae i consumatori alla ricerca di un cibo più sano. Peccato che l’aggettivo integrale spesso nasconda legalmente una farina “ricostituita”. Il nostro confronto tra 82 prodotti
Orientarsi nell’universo-mondo dei prodotti integrali non è semplice: “100% integrale”, “ricco di fibre”, “integrale ingrediente numero 1”, “con farina integrale” sono i diversi claim che richiamano questa caratteristica, richiesta dai consumatori per motivi di salute, particolari esigenze dietetiche o semplicemente per il gusto. Oggi è frequente ritrovare sugli scaffali dei supermercati una buona varietà di prodotti che riportano il termine “integrale” sulla confezione o che ne richiamano le proprietà nutrizionali. Secondo l’ultima edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, relativa al 2022, il claim “fibre” è il più presente in termini di numerica per la categoria “rich-in” (ossia quegli alimenti che presentano in etichetta o sul packaging un riferimento al loro apporto di alcuni nutrienti), con 3.871 prodotti, il 4,8% del totale delle confezioni analizzate. Le vendite dei 2.131 prodotti presentati come “integrali”, inoltre, sono cresciute del +1,4%.
Integrale? Non basta l’etichetta
Ma quanti di questi sono integrali a tutti gli effetti? Affidarsi alla dicitura posta fronte-pacco non basta per esserne sicuri. Occorre, invece, leggere attentamente la lista degli ingredienti presente sul retro della confezione, per verificare l’eventuale presenza di farine raffinate o di farina cosiddetta “ricostituita”, ossia farina di frumento – quindi raffinata – più l’aggiunta di crusca o cruschello.
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Come ci ha spiegato nel numero di giugno del Salvagente Dario Vista, nutrizionista e tecnologo alimentare e collaboratore di punta del nostro giornale, la farina ricostituita rende il prodotto, dal punto di vista nutrizionale, diverso da quello integrale. In primo luogo “presenta un indice glicemico più alto” e, oltre a ciò, nella lavorazione viene meno il germe di grano.
“Il germe di grano – sottolinea Vista – costituisce il 4,5% della cariosside, che contiene le vitamine e i sali minerali, quindi sicuramente il prodotto con farina ‘ricostituita’ non ha le stesse caratteristiche nutrizionali del prodotto realizzato con la farina integrale”.
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Perché scegliere la farina “ricostituita”?
La domanda sorge spontanea: perché le industrie preferiscono questo tipo di lavorazione all’utilizzo della farina integrale? “Perché – spiega il tecnologo – la farina raffinata si conserva di più rispetto a quella integrale, che ha una maggiore deperibilità. Inoltre la farina raffinata garantisce una lievitazione performante e una buona crescita del prodotto grazie alla presenza del glutine (in quantità maggiore rispetto alla farina integrale). Aggiungendo poi crusca e cruschello nell’impasto – conclude Vista – si ottiene quel colore marroncino che richiama l’idea del prodotto integrale”. Si tratta comunque di un “escamotage” accettato dalla legge, che permette di etichettare come “integrale” anche il prodotto realizzato con farina raffinata e aggiunta di crusca e cruschello.
Secondo quanto previsto dalla circolare n. 168 del 10 novembre 2003 del ministero delle Attività produttive (Etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari) “L’uso del qualificativo ‘integrale’ nella denominazione di vendita (esempio: biscotti integrali) risulta coerente sia nel caso di utilizzo di farina di frumento integrale acquistata come tale da aziende molitorie, sia nel caso in cui si ottenga tale prodotto, con le medesime caratteristiche, nell’ambito dello stesso opificio, ove viene utilizzata, aggiungendo crusca e/o cruschello alla farina di grano tenero. Il termine “integrale”, infatti, implica la presenza di crusca e/o di cruschello in quantità tale da assicurare un significativo apporto nutrizionale di fibre nel prodotto finito”.
Il nostro confronto tra 82 prodotti
Sul numero di luglio del Salvagente trovate i risultati di una verifica effettuata su diverse
categorie di prodotti, di marche diverse, realizzata in sette supermercati (Crai, Carrefour, Conad, Lidl, Ipertriscount, Eurospin e Coop), dalla quale emerge effettivamente l’utilizzo della farina ricostituita in alcuni prodotti presentati in confezione come “Integrali” o con la dicitura “Con farina integrale”. Altri prodotti utilizzano un mix di farine (tra integrale e raffinata), altri ancora presentano, invece, una lista di ingredienti che conferma effettivamente una composizione 100% integrale o molto vicina ad essa. Insomma, sugli scaffali c’è davvero di tutto. Sotto la nostra lente sono passati biscotti, cereali per la prima colazione, crackers e crostini, fette biscottate, merendine, pane in cassetta.
Come scegliere da soli
Quindi, alla fine, come si può orientare il consumatore al momento dell’acquisto? Secondo Dario Vista un buon prodotto integrale deve avere almeno “più del 50% di farina integrale”, dichiarata in etichetta come farina integrale e non come farina di frumento e crusca o cruschello. “Ci sono prodotti che scrivono in etichetta 100% integrale – aggiunge – ma bisogna sempre controllare la lista di ingredienti”. Mentre tra un prodotto con un mix di farina (“grezza” e raffinata) e uno con farina ricostituita è preferibile scegliere il primo, perché – spiega Vista – “lì si potrebbe avere – se dichiarato in etichetta – farina integrale, magari anche del 30-40%, e in più quella raffinata; invece nella farina ricostituita l’integrale è totalmente assente. È difficile per il panificatore lavorare solo con la farina integrale, per questo inevitabilmente si ricorre a questo mix di farine”.
Vista fa notare anche che “gli ingredienti sono elencati in ordine dal più presente a quello meno presente, quindi se leggiamo farina integrale come primo ingrediente e dopo crusca, cruschello e farina di frumento è sicuramente indice di una qualità del prodotto accettabile”. Le percentuali, quindi, sono importanti ai fini di una maggiore trasparenza verso il consumatore, ma non sempre vengono indicate. Pertanto, sottolinea Vista, “il prodotto ‘Con farina integrale’ può contenere anche solo l’1% di materia prima integrale. L’azienda può scegliere, ad esempio, la dicitura biscotto integrale per un prodotto realizzato invece con la totalità di farina di frumento e crusca riaggiunta: questo è il vero problema della legge”.