Perdite di metano invisibili a occhio nudo ma rilevabili con speciali telecamere a infrarossi, da 25 impianti italiani. Questa la denuncia di una ong statunitense, Clear Air Task Force (Catf), che ha documentato emissioni di metano da impianti di stoccaggio e distribuzione del gas nel nostro paese. Come riporta l’Ansa, l’attivista della ong, James Turitto, nei mesi scorsi ha ripreso le emissioni, registrando dei video per ognuno degli impianti, visibili sul sito cutmethane.eu.
Gli impianti riguardati dalle rilevazioni
L’attivista Turitto ha documentato emissioni da impianti per lo più gestiti da Eni o da Snam, in Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, Toscana, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata e Puglia: in particolare dagli impianti di Bordolano, Fornovo, Ripalta, Garaguso, Pineto, Sabbioncello, Panigaglia, Torrente Tona, Roseto, Ripalta, Falconara, Melizzano, Fiume Treste, Centro Oli Tempa Rossa, Candela, Moliterno, San Potito e Cotignola, Fano, Sergnano, Cavone, Minerbio, Terranuova Bracciolini, Masseria del Capitano, Gallese, Santo Stefano.
Chi è Clean Air Task Force
Clean Air Task Force, spiega l’Ansa, conduce da anni una battaglia negli Stati Uniti, in Canada e in Messico per chiedere norme più severe contro le perdite di metano, riuscendo a spingere le autorità del Canada e di alcuni stati Usa ad adottare normative contro le perdite, e ha collaborato con il governo messicano per varare una legislazione molto severa in materia. Perdite di metano si verificano lungo tutta la catena di trasporto e distribuzione del gas: pozzi, serbatoi, stazioni di compressione, tubazioni, valvole, tubi di sfiato, reti cittadine. Dallo scorso anno Caft documenta le emissioni in Europa e ha lanciato una petizione per chiedere alla Ue di intervenire. Secondo Catf, con politiche adeguate e tecnologie già disponibili è possibile tagliare le emissioni di questo gas in Europa del 70% al 2025.
Armaroli (Cnr): “le aziende dichiarano perdite fino a 4 volte inferiori”
Nicola Armaroli, ricercatore del Cnr di Bologna e membro della Accademia Nazionale delle Scienze, ha dichiarato all’Ansa: “neanche nei paesi avanzati vengono fatte misure sistematiche sulle perdite di metano nell’atmosfera. Ci si basa essenzialmente sulle stime fornite dalle aziende del settore gas. Ma quando si fanno campagne di misura mirate, le emissioni di metano risultano da 2 a 4 volte quelle in precedenza stimate”. “Il metano viene talvolta considerato amico dell’ambiente, un’alternativa vantaggiosa al carbone – aggiunge Armaroli -. Ma in realtà, le perdite di gas lungo la rete di trasporto e distribuzione, dalla Siberia fino ai fornelli di casa nostra, compromettono sostanzialmente il vantaggio in termini di minori emissioni di CO2. Ci sono perdite ovunque: dai pozzi ai gasdotti, dalle stazioni di compressione ai depositi di stoccaggio, fino alle reti cittadine. Sono letteralmente milioni di chilometri di condotte, spesso molto vecchie”.
I rischi per l’ambiente
Il metano (CH4) è un gas serra decine di volte più potente dell’anidride carbonica. Secondo l’agenzia ambientale Usa, l’Epa, costituisce il 16% dei gas climalteranti (la CO2 è il 76%, il protossido di azoto N2O il 6%, i gas fluorurati il 2%). Il metano emesso in atmosfera (spiega l’Unep, l’agenzia ambientale dell’Onu) proviene per il 32% dall’allevamento del bestiame, il 23% dall’estrazione, lavorazione e trasporto di petrolio e gas, il 20% dai rifiuti, il 12% dall’estrazione del carbone e l’8% dalla coltivazione del riso. Secondo un rapporto sul metano diffuso a maggio dall’Unep le emissioni di questo gas causate dall’uomo potrebbero essere ridotte fino al 45% in questo decennio, abbattendo di quasi 0,3 gradi centigradi il riscaldamento globale. Questo eviterebbe anche 260.000 morti premature, 775.000 visite ospedaliere legate all’asma, la perdita di 73 miliardi di ore di lavoro a causa del caldo estremo e di 25 milioni di tonnellate di raccolti all’anno.
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